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Scuola, cultura e nuovismi ricordando che cultura è movimento e se si ferma diviene folklore

Scuola, cultura e nuovismi ricordando che cultura è movimento e se si ferma diviene folklore

da admin_slgnwf75
1 Marzo 2024
in opinioni
Tempo di lettura: 4 minuti
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Le riflessioni di un dirigente scolastico

di Alberto Capria*

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Che cos’è una cultura se non un patrimonio di conoscenze, valori e comportamenti, modelli di relazione? Come si produce cultura se non attraverso gli scambi, la motivazione allo studio, le contaminazioni, le esperienze? Essa è, per definizione, qualcosa in movimento.

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            Una cultura che si ferma diviene folklore, interessante per organizzare raduni, manifestazioni e convegni, ma poco utile a preparare al domani le giovani generazioni. Mi chiedi cos’è la cultura, sentenziò Skinner: è ciò che rimane dopo avere dimenticato tutto quello che abbiamo pedissequamente appreso a scuola.

            I sistemi di istruzione oggi, dunque, devono modificare il proprio impianto ad obiettivi immutati: consentire alle persone e alle comunità di vivere insieme in un sistema fondato su reciproci diritti, riconosciuti a tutti, e doveri condivisi e dei quali ciascuno sia responsabile.

            Lungi dal possedere virtù magiche e dal costituire una sorta di panacea, le competenze rappresentano tuttavia una delle migliori soluzioni, al netto delle convinzioni (legittime ma a mio avviso errate) di Paola Mastrocola & co.

            La loro positività consiste nel permettere di dare un senso allo studio e di porre al centro del processo di apprendimento il soggetto che apprende e di marginalizzare “contenuti e programmi”.

            Per fare ciò, riprendendo Perrenoud e le sue 10 competenze per insegnare, la competenza necessaria nei sistemi di istruzione riguarda soprattutto gli insegnanti ed è quella di «organizzare ed animare situazioni d’apprendimento».

            L’idea stessa di situazione d’apprendimento non presenta alcun interesse per quelli che pensano che si va a scuola solo per imparare. L’insegnamento non è un automatismo: non si entra in una classe, si spiegano i contenuti sacri e immutabili del “programma” o dell’indice del libro di testo (altra sciocca reminiscenza Gentiliana) e pertanto si è insegnato.

            Se ci pensate bene un modello di insegnamento di questo tipo potrebbe essere sostituito – magari anche con risultati migliori –  dalle nuove tecnologie. Qualche bravo divulgatore davanti a qualche telecamera, gruppi di ragazzi (non più allievi o studenti) a seguire brillanti esposizioni. Quest’azione consentirebbe l’assimilazione di nozioni e contenuti semplici, appresi in modo acritico, spesso presto dimenticati. Attenzione, probabilmente avremo risultati migliori nelle anacronistiche prove Invalsi: e dopo cosa rimane? (e qui ritorna prepotentemente Skinner). Chiediamo questo a un sistema di istruzione?

            Per lungo tempo – e purtroppo in larga parte ancora oggi – l’azione di insegnare (teaching) e quella di apprendere (learning) sono state concepite come momenti separati e distinti, nei quali si distinguevano tre tempi:  il primo è l’esclusiva responsabilità dell’insegnante che consisteva (e ancora consiste) nel veicolare contenuti; responsabilità che si esaurisce nell’“aver spiegato” attraverso la lezione frontale.  Il secondo fa riferimento alla responsabilità degli alunni e consiste nell’ascoltare, prendere appunti (che questo bisogna fare anziché “giocare con i telefonini”, che diamine: ordine e disciplina!) studiare, ripetere. Poi c’è il terzo tempo – ma il Basket non c’entra nulla – che riguarda quanto avviene nella maggioranza delle classi italiane: la verifica!

            L’alunno si fa interrogare (sob!), l’insegnante soppesa il grado di preparazione (misura cioè il grado di somiglianza tra quanto ha spiegato e quanto gli viene ripetuto) e assegna un voto: dal prossimo anno anche alla primaria, perché… il nuovo avanza.

            Così non va, non funziona così, non oggi. E non saranno avanguardie educative, transizioni digitali ed ecologiche, agende sud o nord, cloud, stem ed altri ingorghi lessicali a cambiare le cose; nemmeno gli esperti statistici stipendiati da Invalsi; men che meno il Pnrr che, per la parte che riguarda l’Istruzione, è stato chiaramente predisposto da esperti sì, ma non di scuola!  

            Le modificazioni necessarie riguardano più piani: il piano dei contenuti e dei curricoli, quello delle pratiche didattiche e dell’organizzazione, della logistica e dei trasporti, della verifica e valutazione, dei termini e dei linguaggi,  dei mediatori e degli strumenti didattici e, last but not least, degli ambienti di apprendimento.

            Il tutto condensato nel piano delle finalità complessive o delle intenzioni serie, ricordandoci che – come diceva Rousseau – le buone intenzioni cominciano là dove finiscono le cattive azioni.

            E di cattive azioni negli ultimi 20 anni nell’universo scuola – volute o meno – ne sono state commesse tante, ma davvero tante: anche nell’anno da poco iniziato!

*Dirigente scolastico

Tags: culturascuola

admin_slgnwf75

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