Il politicamente corretto è ormai una campagna sempre più aggressiva che mette in pericolo la libertà di giudizio e di espressione
di Maurizio Bonanno
“Rappresenta valori rispettabili ma non universalmente condivisibili”. Con questa motivazione la commissione incaricata di valutare una statua dell’artista Vera Omedeo che ritrae una donna che allatta un neonato con il seno scoperto, da porre in piazza Eleonora Duse, vicino a Porta Venezia a Milano, ha detto un secco no.
Questa è solo l’ultima “decisione” presa in nome del politically correct. L’ennesima… e, tutto sommato, non la più eclatante. Che succede? Cosa sta passando per la testa dei tanti che in nome del politicamente corretto accettano di rinnegare la propria millenaria cultura?

Da dove nasce questo delirio suicida del «politicamente corretto» che sta devastando l’immagine di sé dell’Occidente, contribuendo a paralizzarlo ideologicamente sulla scena del mondo?
Eppure, a ben riflettere, era un rischio prevedibile: previsto.
In “Noi”, romanzo russo lungimirante, antesignano del ben più noto “1984” di Orwell, scritto tra il 1919 e il 1921, vent’anni prima dell’ascesa di Stalin, Zamjatin denunciava la dissoluzione dell’individuo per un “bene comune”: l’uomo cessa di identificarsi come tale (persino con l’abolizione dei nomi propri di persona) e si riduce ad un’equazione matematica di doveri-necessità nel grande schema delle cose. Solo lo Stato Unico ha il “privilegio” di avere un passato e un futuro: lo Stato c’era, c’è e ci sarà, ma all’uomo è concesso solo di vivere nel presente: la storia viene ripudiata, l’uomo “antico” persino schernito; il futuro è proiettato solo alla costruzione di ciò che è buono per il Benefattore.
Si assiste alla negazione di una domanda politica legittima e comprensibile, trasversale a tutti i ceti nazionali, che non è sovranismo, ma l’autodifesa di società che si sentono impoverite e minacciate. A questa domanda – come denuncia Edoardo Tabasso, Strategic communication advisor – nessuna risposta di buon senso è arrivata da una élite oramai “postmoderna”, “liquida”, “multiculturale”, “tecnocratica”, senza senso autocritico, perché incapace di trarre una lezione dai propri errori di percorso.
Come pastori ignoranti che vivono in un luogo dove un tempo fiorirono grandi civiltà – pensiamo, in proposito, alle riflessioni del filosofo Allan Bloom (“La chiusura della mente americana – I misfatti dell’istruzione contemporanea”) – si ha la sensazione di aver perso il controllo del proprio destino. Eppure, molte delle incertezze che ci troviamo ad affrontare sono state create proprio dalla crescita della conoscenza umana
A giudizio di Bloom, che pubblicò questo suo saggio nel 1987, la cultura della democrazia occidentale vive dagli anni ’60 una crisi profonda, dietro un’apparenza di liberazione e di creatività. Caduto il tradizionale confine tra l’accademia e la società, una miriade di rivendicazioni ha fatto irruzione nelle università, direttamente dalla società e dalla politica, scardinando un sistema senza proporne uno alternativo. Nelle democrazie governate dall’opinione pubblica – denunciava già allora Allan Bloom – la scuola non è più un’isola di libertà intellettuale, dove tutte le opinioni sono prese in esame senza restrizioni e pregiudizi, ma si è trasformata nel magazzino delle influenze più nocive prodotte dalla cultura popolare: prime fra tutte il relativismo e un malinteso senso dell’uguaglianza, uniti in un’intenzione morale. L’apertura mentale si è così trasformata in chiusura: al sapere, ai valori, alle differenze, ai fatti.
La stessa scuola, che da tempo nega il metodo scientifico e la sperimentazione, non aiuta a coltivare il senso critico preferendo un sapere preconfezionato che respinge la curiosità e la creatività, elementi invece che dovrebbero essere preponderanti soprattutto tra i giovani, per guidarli verso l’esplorazione del mondo.
Come a suo tempo denunciato da Piero Paganini, già Direttore Generale della Fondazione Luigi Einaudi, “Siamo l’idealtipo della Mediocrazia”!
La mediocrità è il pensiero dominante che affossa qualsiasi proposta alternativa di interpretare il mondo. Le opinioni hanno tutte pari dignità, secondo la regola dell’uno vale uno, con il risultato che lo spontaneismo regna sovrano. Solo diritti e niente doveri!
Perso il senso della vergogna, si immagina che tutto sia concesso a tutti, in nome di un falso concetto di onestà e di rispetto di regole dimenticando l’insegnamento di Seneca, che già a quel tempo ricordava che “la vergogna dovrebbe proibire a ognuno di noi di fare ciò che le leggi non proibiscono”.
Per secoli l’Occidente è stata la locomotiva della civiltà del mondo. Non perché non ci fossero altre grandi civiltà, ma perché ad un certo momento della storia l’Occidente era avanguardia della cultura, delle scoperte scientifiche, delle nuove tecnologie, del diritto degli individui e dei popoli. Proprio queste conoscenze scientifico-tecniche hanno consentito alla civiltà europea di essere, per almeno quattro o cinque secoli e forse più, l’unica a detenere una straordinaria forza anche politica, che ha avuto, come inevitabile conseguenza, anche una potenza di sopraffazione e di egemonia che nessun’altra civiltà ha avuto. E, dunque, si può immaginare che in condizioni analoghe il regno del Dahomey o il bey di Tunisi si sarebbero comportati molto diversamente?
Intanto, per scaricare certi immotivati, storicamente immotivabili, “sensi di colpa”, le università americane di sinistra modificano la struttura dei corsi di laurea colpendo violentemente il mondo della letteratura classica.
Qualche esempio?
Nel 2016, l’Università di Oxford ha deciso di non offrire più un corso sulla letteratura vittoriana perché ritenuta troppo sessista. Nel 2017, l’Università di Cambridge ha deciso di modificare alcune scene dello “Otello” di Shakespeare perché ritenute offensive. Le scene modificate erano quelle in cui Otello, un generale di colore veneziano, uccide la moglie Desdemona perché crede che lei lo abbia tradito. Nel 2019 Peter Pan è stato bandito dalla Toronto Public Library”, che aveva ricevuto varie richieste di rimozione di materiali dai suoi scaffali tra cui rientrava la storia prodotta dalla penna dello scrittore e drammaturgo James Matthew Barrie, accusata di contenere “stereotipi grotteschi, scene di appropriazione culturale e dialoghi offensivi.
Ed ancora, Madame Bovary di Gustave Flaubert è stato censurato perché ritenuto offensivo per la sua rappresentazione di adulterio come un atto romantico e per la sua rappresentazione delle donne come esseri volubili e irresponsabili. Il grande Gatsby di F. Scott Fitzgerald è stato bandito perché ritenuto offensivo per la sua rappresentazione di ricchezza e lussuria. Il libro è stato criticato per la sua glorificazione della ricchezza e del materialismo e per la sua rappresentazione delle donne come oggetti sessuali.
Come se non bastasse, pochi mesi fa la casa editrice HarperCollins ha annunciato che avrebbe modificato i libri di Agatha Christie per renderli più adatti a un pubblico moderno. Le modifiche includeranno la rimozione di alcuni termini che oggi sono considerati offensivi, come “negro” e “zoppo”. La casa editrice ha anche annunciato che avrebbe aggiunto una prefazione a ciascun libro in cui si spiegano le modifiche e si discute del contesto storico in cui i libri sono stati scritti.
Contemporaneamente, si assiste alla messa all’indice di centinaia di libri, poi banditi dai programmi di insegnamento nelle scuole e nelle università americane.
Ed inutili si sono dimostrate le critiche che ha ricevuto la decisione della casa editrice di modificare i libri di Agatha Christie, una critica espressa dalla quasi totalità dei fans, così come da quegli intellettuali scevri dal condizionamento dell’ideologia dominante della sinistra illiberale, che, per fortuna, ancora sono presenti, ricordando – innanzitutto a me stesso, così come a quanti stanno leggendo – che i primi a bruciare i libri furono i Nazisti.
Questa mancanza di conoscenza e quindi di senso storico si è rivelata decisiva nella costruzione del paradigma della «vittima», a sua volta basilare sia per la nascita che per la legittimazione pubblica del «politicamente corretto».
Il politicamente corretto è ormai una campagna sempre più aggressiva che mette in pericolo la libertà di giudizio e di espressione e, più in generale, la possibilità di quella dialettica fra posizioni contrastanti che invece dovrebbe essere la linfa vitale di una società liberale.
Il “politicamente corretto” è il nuovo conformismo culturale che, dietro i buoni sentimenti, non tollera i diversamente senzienti e pensanti, mentre sa essere molto intollerante ed escludente verso chi non sta ai suoi dettati. Ma – come opportunamente si chiede il filosofo Corrado Ocone – una società che chiude così drasticamente lo spazio di discussione, e quindi di libertà, può dirsi ancora una buona società? E poi: siamo davvero sicuri che proteggere in senso così marcato e acritico certe “minoranze” sia qualcosa che aiuta gli appartenenti ad esse più di quanto non aiuti noi stessi a confermaci nei nostri luoghi comuni?
Stiamo progressivamente perdendo il senso di una comune civiltà, di un’appartenenza che comporta ovviamente differenze anche aspre ma che in qualche modo hanno rappresentato un modo di essere e di sentirsi, a livello mentale e sentimentale, comunità. Quello che chiamiamo Occidente sta tramontando perché va perdendo il senso di una propria unità sottostante alle diversità e alle divergenze.
Altro esempio paradossale e culturalmente drammatico?

Negli ultimi anni sono stati diversi i film Disney che sono stati accusati di essere offensivi o inadatti a un pubblico moderno. Una delle pellicole Disney più criticata è Biancaneve e i sette nani, accusato di essere sessista e razzista, perché i sette nani sono spesso rappresentati come degli esseri grotteschi e caricaturali.
Un altro film d’animazione molto criticato è La bella addormentata nel bosco, accusato di essere sessualmente allusivo. Ad esempio, la scena del bacio del principe alla bella addormentata è stata interpretata da alcuni come un atto di violenza sessuale.
E che dire della nuova versione di Cenerentola produzione Amazon, riscritta in chiave talmente politically correct da ritrovarsi la povera Cenerentola aiutata da una fata genderless?

La Disney accettando di soccombere al nuovo verbo, ha cercato di modificare i suoi film. Ad esempio, in Biancaneve e i sette nani, ha modificato alcune scene che erano ritenute offensive. In La bella addormentata nel bosco, ha invece deciso di tagliare la scena del bacio del principe alla bella addormentata nella versione live-action del film. E paradossale, poi, si mostra la questione legata al tenerissimo “Dumbo”, che ha rischiato il bando totale, finché non si è trovata una soluzione cervellotica: un avviso che segnala la rappresentazione stereotipata e offensiva dei personaggi afroamericani.
L’Occidente ha commesso errori ed orrori come tutte le civiltà, ma la sua struttura profonda è stata universalistica. Adesso, però, muore: perché si vergogna di se stesso e dei propri valori più alti; muore per paura e per retorica, credendo ingenuamente di fare bene (mentre invece fa spesso il male) negando con i suoi comportamenti gli ideali che crede di affermare.
In sostanza, per dirla con Claudio Magris, “L’Occidente muore di viltà travestita da mentalità aperta ed evoluta”.