Il mundial di Spagna ed il trionfo azzurro, magico quanto inatteso, preludio di quegli anni ’80 opulenti e spensierati
di Maurizio Bonanno
Ero a Roma la sera dell’11 luglio 1982.
Il giorno dopo avevo un esame universitario ed allora ero stato costretto ad allontanarmi dal televisore di casa, a Vibo Valentia, dove avevamo gridato, gioito, ci eravamo emozionati, esaltati durante lo straordinario trittico con cui la nazionale di “paolorossi” (in tutto il mondo ormai era così nominato dopo la tripletta al Brasile) aveva regolato in serie Argentina, lo spettacolare Brasile e la Polonia portandoci in finale dodici anni dopo la beffa di Città del Messico.
Ero a Roma la sera dell’11 luglio 1982, quando tornammo ad essere “campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo”, come, con voce emozionata ed insieme orgogliosa, sanzionò Nando Martellini.
Non c’è dubbio che per la nostra generazione è stato questo il mondiale più bello.
Per noi non ci sono dubbi, quello del 1982 in Spagna fu un mondiale magico, impossibile da dimenticare.
Ripensarci oggi, con un velo di nostalgia quando adesso è impossibile ogni paragone con le Nazionali degli ultimi anni, dopo le clamorose esclusioni degli Azzurri dalle rassegne iridate in Russia e Qatar, dopo la figuraccia di Berlino presi a pallonate dalla Svizzera.
Forse, per gente innamorata del calcio come noi, la voglia di sognare ancora c’è, ma per farlo, bisogna fare un salto nel passato e ricordare quei momenti, di gioia, di festa, di un calcio che, forse, oggi così com’era allora non esiste più (ma poi ti ricordi di un ragazzino spagnolo che si chiama Yamal e ti rendi conto che da qualche parte ancora il sogno e la magia sono possibili pure nel calcio di oggi).
Ma il mondiale di Spagna dell’82 è rimasto nel cuore, avvolto da un qualcosa di magico.
Perché? viene da chiedersi.
E la risposta – ripensandoci – è perché quei protagonisti, quelle storie, quelle partite, quei gesti di quel mondiale sono di una intensità, sportiva, agonistica ed umana, come difficilmente accade oggi. E resta il ricordo di un mondiale tecnicamente di alto livello (basti pensare al futebol bailado di un Brasile spettacolare con Zico, Socrates, Falcao, Cerezo; e poi, Maradona, Rumenigge, Boniek, Platini… ), ma infilato dentro ad una atmosfera unica, forse irripetibile perché fantastica, fenomenale… imprevista. Come imprevista era l’impresa degli azzurri, che d’un tratto tirano fuori la bacchetta magica e trasformano in oro tutto quel che toccano, ogni palla che toccano. Ma sia chiaro che dietro ogni magia c’è moltissimo lavoro e tanto talento. E un mago. Un Mago Merlino che si chiamava Enzo Bearzot e che aveva trovato il suo Semola, l’impacciato centravanti delle prime partite, che d’incanto si scopre Re Artù e sfila la spada dalla roccia Brasile e da quel momento è l’incontrastato Re del Mundial: paolorossi.
Un mondiale irripetibile. E un’Italia diversa, come diverso era allora il calcio. Forse, diversi eravamo anche noi italiani.
Da allora è cambiato tanto, è cambiato tutto. È un altro calcio, che non vuol dire necessariamente meno bello. Diverso però. Meno romantico e meno umano, senza alcun dubbio.
Ero a Roma la sera dell’11 luglio 1982.
A vivere in un’Italia che al mondo appariva simpatica, come il Presidente Pertini che saltella come un bambino sulle tribune del Santiago Bernabeu, alla faccia del protocollo. E non come appare oggi: insicura, rissosa ed isterica come quella sera appariva il tedesco Stielike man mano che vedeva sfuggire la coppa e si accaniva sul povero Oriali, che, senza batter ciglio, si rialzava e ricominciava a ruminare calcio come solo certi mediani sanno fare (vero Ligabue?), tamponare, sbarrare ogni pertugio e far ripartire la squadra. Lui come noi, incrollabili nella nostra fede nel calcio, che è riscatto, che è modello di vita, che ti fa pensare che tutto è possibile e che sì, anche a 18 anni si è grandi, purché ci si cresca i baffi alla Bergomi, che ti fanno tanto più grande. Che anche noi possiamo essere vincenti e… grandi. E che quel mondiale non poteva non essere nostro!
Ero a Roma la sera dell’11 luglio 1982… ad urlare come Tardelli, a saltellare come Pertini (dietro ad un serioso ed incredulo Juan Carlos), a gioire come tutti, impazziti, impazziti di gioia: a sfilare lungo via Veneto per fermarsi alla prima edicola e comprare l’edizione straordinaria del Corriere dello Sport che titolava EROICI; e poi, raggiungere Piazza del Popolo dove c’eravamo tutti, protagonisti irrefrenabili della diretta tv del Processo ai Mondiali con Aldo Biscardi.
Ero a Roma la sera dell’11 luglio 1982 a gridare a squarciagola “Campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo”. Tre volte. Tre come i titoli mondiali vinti fino a quel momento. Tre come i gol rifilati in finale alla Germania (e tre erano stati i gol al Brasile dell’eroe paolorossi).
Tre, che dicono sia il numero perfetto. Non so se è vero, però… quella sera tutto sembrava perfetto. Il futuro non faceva paura. L’ottimismo ci invadeva e gli opulenti anni’80 erano partiti portando con sé grandi promesse, voglia di vivere, spensieratezza.
Sì, quella sera, da quella sera tutto sembrava perfetto!
P.S.= l’indomani, dopo una notte insonne, mi presentai all’esame: risposi all’appello, ma poi nell’attesa mi addormentai. Quell’esame non lo diedi, ma questa è un’altra storia. Nella vita, con ottimismo, si cambia e ci si realizza… se ci credi. Se credi alla magia che è la vita!