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La Scuola e il rinnovamento che non c’è, fra tempo pieno e tempo normale… raddoppiato

aula scolastica scuola

Attualmente nelle “classi a tempo pieno” spesso ci si si limita a replicare, a tempo raddoppiato, le modalità didattiche e relazionali del tempo “normale”

di Alberto Capria*

Si è più volte detto che le risorse del PNRR avrebbero potuto consentire di ridisegnare contorni e caratteristiche della nostra scuola nella direzione di un radicale rinnovamento; che avrebbe potuto condurla al superamento delle disuguaglianze la caratterizzano.

Disuguaglianze evidenti non solo – o non tanto – per risultati di anacronistici test standardizzati, ma per i diversi “tessuti sociali”, strutture, pratiche didattiche e disomogeneità di ambienti di apprendimento consoni ai tempi che viviamo.

Ciclicamente ad ogni inizio anno scolastico, sin dalla Legge 820 del 1971, la proposta di estensione del tempo pieno puntualmente si ripresenta; ed a certe condizioni si tratterebbe indubbiamente di una scelta giusta.

Lo sarebbe se fossimo consapevoli che il tempo pieno non si realizza con il semplice raddoppio del tempo scuola, né in assenza di idonei spazi e neanche senza avere il coraggio, creandone prima le condizioni, di rovesciare il paradigma didattico in uso.

Un serio tempo pieno, attuato in primis per la crescita dei nostri allievi e solo dopo  orientato a permettere un maggiore – dovuto – tempo lavorativo per i genitori, presuppone un consistente monte ore di compresenza, gruppi di lavoro, laboratori attrezzati e quotidianamente utilizzati, spazi liberi di incontro, palestre, biblioteche, servizio mensa di qualità e, soprattutto, un consistente aumento della dotazione organica docente e ata che vada al di là della semplice “copertura delle ore di lezione”.

Attualmente nelle “classi a tempo pieno” spesso ci si si limita a replicare, a tempo raddoppiato, le modalità didattiche e relazionali del tempo “normale”: bambini sempre in aula, didattica quasi esclusivamente trasmissiva, sporadica frequentazione dei laboratori se ci sono, rare uscite sul territorio.

Servirebbero scuole strutturalmente adeguate, studiate nella configurazione delle aule, degli spazi e delle funzionalità. Servirebbe un tempo pieno svincolato dalle classi, dai docenti di classe e da orari di lezione inalterabili. Sarebbe necessario imparare a ragionare in un’ottica di flessibilità e responsabilità pedagogica, abolendo definitivamente e finalmente arrugginite routine didattiche e metodologiche. Occorrerebbero servizi, strutture sociali e culturali territoriali organizzati in interazione con la scuola e con logiche di corresponsabilità di enti ed istituzioni rispetto ai processi educativi. 

Ancora una volta occorre ribadire che la scuola – ed alcuni suoi modelli didattici come il tempo pieno – sono elementi di un sistema: ed un sistema funziona se tutti i suoi elementi sinergicamente interagiscono.

In assenza di strutture adatte, di ambienti di apprendimento e spazi di interazione all’interno delle singole scuole, di una maggiore dotazione organica, di innovazione didattica con conseguente abbandono di obsolete pratiche, di sinergia interistituzionale sul territorio, il tempo pieno non c’è: sic et simpliciter.

Occorre ripensarlo (rifondarlo?) con gli essenziali presupposti precedentemente citati, pensando anche alle mense, ma non solo ad esse; occorre valorizzare al massimo creatività, flessibilità, consapevolezza pedagogica.

Stiamo parlando di un itinerario di forte cambiamento che riguarda l’organizzazione del setting formativo, l’idea di classe come comunità, l’apertura al territorio, il ripensamento globale del momento didattico.

Tutto ciò distingue il tempo pieno da un tempo normale raddoppiato.

°Dirigente Scolastico

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