Riflessioni in una calda domenica d’autunno… ripensando al recente report del centro studi della CGIA di Mestre
di Maurizio Bonanno
Moriremo di burocrazia!
È di pochi giorni fa la notizia relativa ad una ricerca della CGIA di Mestre che anche noi abbiamo pubblicato
attraverso la quale si scopre (si scopre?) che la nostra Pubblica Amministrazione (PA) è tra le peggiori d’Europa nell’offerta dei servizi pubblici digitali. I tempi medi per il rilascio dei permessi e delle autorizzazioni sono tra i più elevati. Insomma, carte, timbri, moduli da compilare e attese agli sportelli sono vissuti dagli imprenditori come dei veri e propri incubi, mentre per tanti cittadini, quando ci si deve interfacciare con la macchina pubblica spesso si scivola in un profondo stato di angoscia.
Questi disservizi, purtroppo, hanno una ricaduta economica spaventosamente elevata. Elaborando alcuni dati pubblicati dall’OCSE, per le nostre Pmi il costo annuo ascrivibile all’espletamento delle procedure amministrative è di 80 miliardi di euro. Praticamente una tassa nascosta da far tremare i polsi che ogni anno grava sulle imprese italiane a causa del cattivo funzionamento della nostra burocrazia che – avvolta da un coacervo di leggi, decreti, ordinanze, circolari e disposizioni varie – rende sempre più difficile il rapporto tra le imprese e la Pubblica amministrazione.
Una caratteristica tutta italiana che qualsiasi osservatore esterno farebbe fatica a immaginare che in un Paese la PA possa rappresentare un ostacolo, anziché un elemento di sostegno e di crescita economica. Ma in Italia, purtroppo, le cose stanno diversamente rappresentando, senza dubbio alcuno, una storica prerogativa tutta italiana.
Se mai qualcuno avesse un dubbio su questa affermazione, basterà raccontare una vicenda, semplice quanto emblematica, di quanto è accaduto poco tempo fa in un ufficio postale della nostra benamata Italia. E sia chiaro – non in un piccolo centro di periferia del cosiddetto arretrato sud Italia, ma di una città del Nord, la cui fama di efficienza avrebbe dovuto rappresentare un punto di riferimento di ben altro significato.
A riferirlo, un utente (o cliente, come si usa dire adesso non considerando affatto che comunque si tratta di un servizio pubblico offerto da un’azienda che, sia pure privatizzata, opera su concessione statale ed in continuità con le vecchie Poste statali che hanno rappresentato un punto di riferimento nell’Italia post-bellica), che doveva ritirare una raccomandata.
La persona che ci ha riferito l’accaduto, volendo essere un cittadino attento aveva pensato bene di venire incontro alle difficoltà che stiamo vivendo tutti in merito ai tempi contingentati ai quali siamo costretti giornalmente, per cui si era attivato secondo il buon utilizzo delle attuali tecnologie per evitare code e perdite di tempo: si era prenotato tramite il servizio online ottenendo l’appuntamento ad un orario ben preciso. L’utente in questione, evidentemente più efficiente dell’efficienza tecno-burocratica dei nostri uffici pubblici, si presenta nell’ufficio postale con alcuni minuti di anticipo cogliendo la felice coincidenza che in quel momento gli sportelli erano liberi avendo smaltito la relativa coda.
Ed è qui che accade l’imponderabile: la solerte impiegata nell’accogliere l’utente/cliente si accorge che egli è in anticipo e con tono deciso senza possibilità di replica intima al malcapitato: “è in anticipo, non la posso servire!”.
La sorpresa è straordinaria, al limite del credibile: “Ma come? Non c’è nessuno in coda? Proceda, così si guadagna tempo entrambi”.

Impossibile: non si può procedere. La solerte impiegata intima: “Torni indietro, prenda un nuovo ticket e si rimetta in coda”, considerato che nel frattempo altri avventori erano sopraggiunti.
Non fosse una storia vera, sarebbe da annoverare come un racconto della migliore commedia all’italiana: è il paradosso della burocrazia italica che si pasce e prolifica grazie a solerti funzionari ed impiegati che non sanno, non vogliono, non possono applicare le regole del buon senso, oggetto misterioso e non contemplato da leggi, decreti, ordinanze, circolari e disposizioni varie.
È il destino di un’Italia che mai si è scrollata di dosso il retaggio sabaudo-borbonico con il quale si costruì la nazione. Sopravvive cioè quella visione del passato distratta e rassicurante per le italiche coscienze che il burocrate possa passare le giornate in ufficio come assiso sul trono, in una pittoresca e tragica rincorsa verso sempre più dispotici ed estemporanei capricci.
Si tratta del perpetuarsi di quel modello gerarchico, di stretta aderenza tra i vari livelli della piramide, nel quale il livello inferiore obbedisce ciecamente a quello superiore e tutti, secondo uno schema discendente, sono tenuti ad obbedire al livello supremo, al vertice politico-amministrativo. Un apparato senza autonomia, né responsabilità propria. Caratterizzato da quelli che il buon Cavour chiamava “i rotismi amministrativi”. Ovvero i rotismi, cioè i meccanismi, i gangli di un congegno. L’amministrazione come macchina, la burocrazia come cieco apparato esecutore del comando; dunque, corpo obbediente, gerarchicamente subordinato, militarmente addestrato ad eseguire senza porsi domande, senza avventurarsi in soluzioni diverse anche se solo momentanee, come una realtà impersonale e oggettiva, perciò stesso dominata dall’autoritarismo gerarchico.
Ci si può liberare da un simile accrocco? Come reagire ad una tale, sia pure ineccepibile, rigidità mentale (perché, sia chiaro: l’impiegata formalmente ha avuto ragione!)?
Se vogliamo chiederci quale sia l’ostacolo principale al rilancio della crescita in Italia, dobbiamo indirizzare la nostra attenzione sul peso morto rappresentato da una macchina burocratico-amministrativa incompatibile con le esigenze di un Paese moderno.
Abbiamo la forza, la volontà di recidere il cordone ombelicale che ancora impone questo pericoloso legame con uno Stato pachidermico che per la sua sopravvivenza si sta ormai mangiando i suoi stessi figli?
Recuperando uno dei tanti paradossi che costellano la quotidianità del nostro vivere, torna alla mente una vecchia considerazione: ′′I tempi difficili creano uomini forti, gli uomini forti creano tempi facili. I tempi facili creano uomini deboli, gli uomini deboli creano tempi difficili”
Molti non capiranno, ma il punto è che per essere cittadini, cittadini liberi, bisogna crescere guerrieri, non parassiti…