“Sogni Infranti”, è il titolo della raccolta di poesia, danza dei versi in questa corsa nel mistero della vita bella e terribile. La recensione di Titti Pascuzzi
di Luigi Stanizzi
“Sogni infranti” è il titolo del libro di Serafino Schipani, poeta di Sersale, in arte Seraschi. L’opera si fregia di prefazione, presentazione e postfazione a cura di Giovanna Moscato dirigente scolastico del Liceo scientifico “Rita Levi Montalcini”, Francesca Stanizzi e Luigi Stanizzi. Il volume dell’editore Marco Marchese, Officine Editoriali da Cleto, è impreziosito da una copertina la cui progettazione grafica è di Francesco Stanizzi.
Nella sua recensione, Titti Pascuzzi, parla di un’espressione poetica cosi profonda, per tratto assetto semantico e sensoriale e si rivolge direttamente al poeta fi Sersale, oggi insegnante in pensione.
“Le Tue liriche – scrive Titti Pascuzzi – sono un esempio di poesia vera, perché investono l’interlocutore ex abrupto al di là del tempo e dello spazio e non lasciano alla mente la possibilità immediata di formulare una spiegazione razionale. Il vero poeta è, in greco antico, un aoidòs “un cantore” perché i suoi versi cantano e coinvolgono i sensi e l’anima allo stato primordiale, in greco antico “psychè” “soffio vitale”, perché sono una corrente d’aria che invitano a “vivere senza riflettere” in totale meraviglia di “questa cosa arcana e stupenda”. La meraviglia di essere e di esserci che giganteggia inesorabilmente tra le righe, lasciando sullo sfondo i “se”, i “ma”, i “poi”.
L’autentico poetare, come afferma la poetessa polacca Wyslava Szymborska, è un dono raro e, come scrive lo scrittore Giorgio Caproni nel saggio “Sulla poesia”, il poeta è un “minatore” perché riesce a calarsi in fondo a quelle che il grande poeta Antonio Machado definiva “las secretas galerias dell’alma”, e carpire gli intrecci sotterranei di luce comuni a tutte le persone di cui pochi hanno coscienza.
Ti sei immerso, attraverso queste “parole alate” nel Tuo essere più intimo e profondo, ma non vi è traccia di narcisismo o solipsismo; in quella profondissima zona dell’essere, ognuno con la sua esperienza, ci siamo noi, c’è l’uomo. Questo è il mistero della poesia vera, il suo fascino antico, il suo inspiegabile paradosso. La trama e l’ordito della tessitura poetica di molte Tue strofe rivelano accenti del “sublime”, perché sono capaci di suscitare scintille di emozioni e rivelare nuovi aspetti della realtà, che è impossibile a chi si rivolge alla semplice perfezione stilistica.
Il “Sublime” come afferma Pseudo Longino nel trattato omonimo non si identifica col Bello (To kalòn) , ma con lo sbigottimento, con la sorpresa, con lo spavento. E le tue liriche in me hanno provocato queste emozioni: sgomento e felicità, vitalità, fervore. “Giochi” con le parole sul rapporto fra ordine e disordine, in una efficace contaminatio di purezza e peccato, di candore e colpa, sensi e anima attraverso una successione di pieni e di vuoti, di congiunzioni e intervallo del fraseggio che suscitano emozione vivissima.
“La metrica – sono sempre le parole di Titti Pascuzzi – si unisce alla danza dei versi, la cui autentica parola poetica è nuda, è inviolabile. Perché la vera poesia non è musicale, è pura e misteriosa e la sua musica è intrinseca e semantica. Come ti ho già scritto, mi hai fatto intravedere uno squarcio di bellezza, in questa corsa per la vita e nel fango quotidiano che ci accompagna sovente nel tempo della maturità. Sono ritornata ragazza, leggendo le liriche giovanili che sono promesse di gioia e beltà, indispensabili nella vita per “prendere il largo” quando, come afferma Cesare Pavese nel Mestiere di vivere, “nulla era successo, tutto era ancora nei nervi e nel cuore e chiunque pensava che un domani sarebbe successo qualcosa di bello”. Ho riflettuto, ho avuto dubbi e debolezze e ho ammirato il tuo animus pugnandi che hai acquisito attraverso un lungo percorso di Fede. La Fede, Baluardo, Necessità e Grazia sempre e comunque anche nella felicità e nelle “aurore rosate”, ricchezza interiore, dono prezioso. Indispensabile quando giunge il tramonto, che non è fine, ma inizio di una nuova vita più difficile, ma più consapevole, più ardua, ma più autentica.
Grazie Serafino – scrive Titti Pascuzzi avviandosi a conclusione – per questo canto che non è solo tuo, ma è canto degli uomini e delle donne che nascono e muoiono e si interrogano sul mistero della vita “bella e terribile” e sulla “profonda notte” che ci appartiene. Grazie per queste poesie che sono “Tue Figlie spirituali” che nascono dalla bellezza e da un atto di amore, perché, come afferma Platone nel dialogo “Il Simposio”, soltanto chi ama crea e l’anima prova una pulsione irresistibile a creare qualcosa che le sopravviva”.