Durante le festività la città si trasforma grazie alla presenza di universitari e giovani professionisti che tornano a casa, ma si tratta solo di pochi giorni e poi vanno via. E la città ritorna nel suo torpore
di Maurizio Bonanno
Accade ogni anno. Ogni anno Vibo Valentia si fa il regalo più bello. Bello quanto effimero. Bello quanto ridotto a pochi giorni: una settimana scarsa di vivacità, di vitalità, di esempio di come potrebbe essere e non è… non sarà.
È il ritorno dei suoi giovani, studenti e professionisti andati via per realizzarsi, protagonisti del fenomeno migratorio più pericoloso, quello dei cervelli, di quelle intelligenze che altrove fanno fortuna, com’è giusto che sia, e che qui ritornano solo in queste occasioni, perché – per fortuna, almeno questo – il legame con la terra natia, con gli affetti più intensi che qui sono rimasti, la memoria della loro bella gioventù, li richiama per un ritorno che dura però giusto quei giorni, quando le festività natalizie (ma succede anche nella settimana della Pasqua) consentono loro un po’ di vacanza.
Ritornano e, seguendo il ritmo e le abitudini degli altri giorni passati altrove, portano qui le belle abitudini di un passeggiata sul corso, di un aperitivo al bar, di un giro in città, lungo quelle vie che da ragazzi li ha visti crescere, fino a quando è stato possibile vivere qui. Perché c’è un momento che, se vuoi continuare negli studi (non c’è università a Vibo Valentia, nè istituti superiori per proseguire qui gli studi dopo il cosiddetto esame di maturità), se vuoi trovare un lavoro sicuro (senza il comparaggio, l’intrallazzo, la raccomandazione, senza compromessi sempre al ribasso, non si trovano porte che si aprono), se vuoi lanciarti in un’attività autonoma (il doppio stato – quello legale e quello illegale – è prodigo di lacci e lacciuoli che rallentano, quando non impediscono, ogni forma di impresa autonoma: qui uno come Steve Jobs, uno come Mark Zuckerberg non avrebbe mai realizzato qualcosa, anche minima!), l’unica strada percorribile è quella di prendere un treno o un aereo e andare.
E quelle rare volte che ritornano, mostrano a noi, ormai intorpiditi dalla monotonia di una vita vissuta in una discesa senza fine, cosa si potrebbe fare, come si potrebbe vivere altrimenti, quali potenzialità represse nel piagnisteo e nella lamentazione, nella critica a prescindere e nel trionfo della mediocrità come sistema di vita, vengono soffocate.
La prova provata si sta avendo anche stavolta, anche quest’anno, in questi giorni. Non importa se a Vibo Valentia la scelta sia – diciamo così – minimal, come sta accadendo quest’anno. Basta che ci sia qualcosa e va bene così.
Non im porta se si è ormai lontani dai fasti di nomi noti del mondo dello spettacolo (non siamo mica a Reggio, Cosenza o Catanzaro o Lamezia); non importa se non siamo nemmeno quella Vibo che un tempo faceva approdare il meglio in ogni settore: musica, spettacolo, cultura, teatro. Dove venivi per ascoltare Finardi Bennato Venditti, PFM o New Trolls, oppure più di recente Mario Biondi, Malika Ayane o Lina Sastri; o respirare cultura; non è passato molto tempo da quando in città dibattevano Paolo Mieli o Antonio Padellaro, Magdi Allam o Franco Cardini, Philippe Daverio o Vittorio Sgarbi, Valerio Massimo Manfredi o Pietrangelo Buttafuoco, Silvio Muccino o Paolo Sylos Labini, Carmine Abate o Gioacchino Criaco o Santo Gioffrè; per quanto non accada adesso che arrivi solo a Vibo Valentia in esclusiva un grande pianista come Ivo Pogorelich o il grande soprano de La Scala Paoletta Marrocu; oppure direttori d’orchestra del calibro di Carlo Maria Giulini, Salvatore Accardo, Alberto Veronesi; ed ancora, musicisti come Stefano Pietrodarchi o Enrico Pierannunzi; oppure, quando c’era un teatro (bastava il Valentini) attori e attrici come Paola Borboni, Ottavia Piccolo, Paola Gassman; Raf Vallone, Enrico Maria Salerno, Mario Scarpetta, Ugo Pagliai, Corrado Pani.
Ed è stato solo una piccola citazione a memoria tra quelli con i quali si era instaurato un rapporto che non si è limitato al solo momento dell’esibizione (e tanti altri si potrebbero citare: Pippo Baudo, Roberto Scandiuzzi, Daniele Piombi, Roberto Gatto, Mino Reitano, Tullio De Piscopo, Loredano Bertè, Pino D’Angiò, Valeria Marini e l’elenco potrebbe continuare a lungo).
In questi giorni Vibo Valentia, anche quando ci si accontenta del solo fatto che ci sia qualcuno che canta bene e faccia musica ascoltabile (per l’esaltazione di qualche amministratore alla sua prima esperienza che già canta vittoria autocomplimentandosi!), la città si riversa in strada, non importa che faccia freddo, perché il freddo non si sente, riscaldati come si è dal calore del contatto umano, dall’entusiasmo giovanile, dal piacere di ritrovarsi, riscoprirsi forse un po’ avanti nel peso come nell’età, forse con qualche ciocca di capelli ingrigita, ma sempre con il gusto dello stare insieme, di essere comunità.
Queste serate di dicembre stanno dimostrando che c’è una Vibo Valentia ancora viva, sebbene piena di problemi, che è arrivato il tempo di dover risolvere. A dispetto di chi la denigra e la vorrebbe lasciata un balia dell’indifferenza, si è avuto prova, almeno per una sera, che ci sono ancora quei vibonesi che questa città l’hanno amata veramente e che cercano alleati per tornare ad esprimere questo amore.
Complici le vecchie comitive di amici che per pochi giorni si sono ricomposte grazie ai tanti studenti e lavoratori tornati a Vibo Valentia per trascorrere il Natale in famiglia, le vie del centro storico sono tornate colme di gente: i vibonesi sono usciti di casa e hanno riempito gli spazi della loro città: lo hanno fatto in armonia e allegria, lasciandosi guidare dalla musica tra stand gastronomici e qualche bancarella varia. Loro lo hanno fatto, e poi… la risposta?
Serrande abbassate, vetrine spente, negozi chiusi lungo corso Vittorio Emanuele, luogo del passeggio così numeroso che spesso si sono formati piacevoli ingorghi tra chi si fermava per salutarsi e rivedersi. Iniziative encomiabili per l’impegno profuso, ma di piccolo cabotaggio, senza nulla pretendere: entusiasmo tanto, impegno ancora di più, ma… come se si avesse “paura di volare”, restare bassi per non cadere, vivacchiare senza rischiare, tenersi stretta la poltroncina per non mostrare di saper stare seduti su una poltrona tanto grande da perdersi dentro. Senza ambizioni, senza visioni oltre, senza lasciarsi distrarre dal sognare.
E allora, se davanti a migliaia di persone che hanno scelto di vivere la loro città tutti insieme almeno nel cuore delle festività natalizie, si risponde così, non c’è crescita, cade la speranza.
Se c’è una cosa che più delle altre questi giovani ritornati anche se per pochi giorni possono indicare a chi invece qui resta e qui continuerà a vivere è che ogni cittadino si riappropri della città in cui vive e la senta sua: con partecipazione, coinvolgimento, condivisione ribellandosi concretamente all’idea che la desertificazione sociale, commerciale e demografica sia un destino già scritto per Vibo Valentia e la sua provincia. È che Vibo Valentia vive questa condizione perché la gran parte che oggi vi abita non la conosce, non conosce la sua storia millenaria ed i tesori che possiede. E non conoscendola non la ama, come invece questa città merita, ancora bella malgrado, anzi quasi a dispetto, dell’indifferente distacco di chi qui ci vive e non l’apprezza.
Come primo atto, bisogna rifiutare l’idea di accontentarsi, di coltivare la rassegnazione, di assecondare progetti minimalisti, di un basso profilo che non disturbi quel ceto medio falso-borghese sottomesso, incapace di reagire dinanzi alla pochezza di una proposta di sviluppo che si limita ad un banale invito al turismo, senza indicare una direzione, ad un cultura generica priva di indirizzo, al disegno di una città dove cercare di essere migliori appare un demerito e si è scansati come pericolosi.
Se c’è un messaggio che questi giovani ritornati anche se per pochi giorni stanno indicando è l’invito ad assumersi l’onere di lanciare una sfida per lo sviluppo offrendo scenari nuovi, visionari, coraggiosi.
Se c’è una richiesta che questi giovani tornati anche se per pochi giorni stanno facendo a questa loro amata città è che la prossima volta che vengono la possano trovare finalmente viva, dinamica, rinvigorita.
E chissà che qualcuno di loro, a quel punto, non decida di tornare… e restare!