Riflessioni sulle pagine del Vangelo di domenica 19 gennaio
di Mons. Giuseppe Fiorillo
Carissime, carissimi,
oggi, seconda domenica del Tempo ordinario, Giovanni ci narra di una festa che viene celebrata a Cana di Galilea. Secondo le consuetudini ebraiche la festa aveva una durata di sette e, alle volte, anche di quattordici giorni.
Ascoltiamo il testo:
” Vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea. E c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino la madre di Gesù gli disse: “Non hanno più vino”. E Gesù Rispose: “Donna che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora”. Sua madre disse ai servatori: “Qualsiasi cosa vi dica fatela”. E Gesù disse loro: “Riempite d’acqua le anfore”; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: “Ora prendetele e portatele a colui che dirige il banchetto”. Ed essi le portarono. Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui”. (Giovanni 2,1-11).
Questa pagina di Giovanni è un inno alla gioia. Gioia non allegria. L’allegria è qualcosa di completamente diverso. Essere allegri è un fatto esterno, rumoroso e che si consuma nell’arco di poco tempo. “Ecco, la musica è finita/gli amici se ne vanno/ che inutile serata…” (Umberto Bindi).
La gioia, invece, è un fatto che vive nell’interiorità ed è ben radicata nel profondo del nostro essere.
La gioia è l’opposto del divertimento che distrae e stanca e passa; la gioia è segno di una “presenza” che affascina e rimane con noi.
Maria, nel chiedere più vino per la festa degli sposi, chiede gioia. Il vino nella Bibbia di fatti è segno di gioia, festa, alleanza con Dio. La parola gioia ricorre ben 225 volte nell’Antico Testamento e 72 volte nel nuovo Testamento. È importante notare che Gesù inizia la sua missione col partecipare ad una festa di nozze e col portare in dono il vino “che letifica il cuore dell’uomo”. (Salmo 104,5).
Al tempo di Gesù si vivevano situazioni tragiche: oppressione ad opera dei Romani, sconcerto spirituale ad opera di Scribi e Farisei con l’imporre ai fedeli 613 norme e, poi, diffusione di malattie, lebbre, tronchi di alberi innalzati sulle alture di città e villaggi per le diffuse crocifissioni, a monito visivo per i trasgressori di leggi.
È consolante che Gesù, in questo clima grigio e triste, inizi la sua missione con una festa di nozze! Ma c’è ben di più, dietro questa festa: c’è il messaggio che Dio, pur nelle tragedie umane, viene a noi come festa: “Vi ho detto queste cose, affinché la mia gioia dimori in voi e la vostra gioia sia piena” (Giovanni 15,11).
Cana di Galilea è segno di gioia. È un invito a vivere con fiducia il quotidiano: la nascita di un figlio, l’amicizia di una persona sincera, la bellezza di un tramonto, l’esplosione di un fiore in primavera e di frutti in estate, la dolcezza incantata di un viso di bimbo…
E noi che ne abbiamo fatto del messaggio di Festa di Gesù? Con amarezza dobbiamo confessare che, nello scorrere dei secoli, abbiamo spesso tradito questo messaggio gioioso, vestendo l’abito del lutto.
Queste gioie Gesù avrebbe voluto prolungarle ancora vivendo a Nazareth: “Donna, non è ancora giunta la mia ora”. In altre parole: madre vorrei ancora restare con te a Nazareth, bere ancora un bicchiere di vino con gli amici, consumare, a sera, la cena con te, contemplare il tuo viso, quando, di notte, impasti la farina per il pane del domani, asciugare le lacrime quando, di nascosto, piangi l’assenza di Giuseppe… madre non la mia, ma la tua volontà voglio che si compia. Ricordati, però, che da questo momento, manifestandomi, non sono più tuo figlio, ma figlio dell’umanità.
“Riempite di acqua le anfore”; e le riempirono fino all’orlo e l’acqua divenne vino e la festa continua con un vino tanto eccellente da ricevere lo sposo, da parte di colui che dirigeva il banchetto nuziale, un amabile rimprovero: “Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora”.
Gli sposi così restano nella gioia, per opera soprattutto di Maria che sussurra a Gesù, suo figlio: “Non hanno più vino”. Ora tutti hanno vino e la festa continua ancora.
Anche a noi, oggi, spesso, manca il vino, il vino buono, quando si fa sera e viene meno l’entusiasmo dei giorni verdi; quando la lampada della fede, a motivo delle nefandezze umane, è al lumicino; quando si incrina un’antica amicizia; quando un figlio si chiude a riccio nalla solitudine; quando un rapporto matrimoniale comincia a perdere il dialogo; quando il gusto della vita diventa più amaro e l’allerta meteo dello spirito diviene zona rossa. ..
È allora che, forti dell’intercessione di Maria presso il Figlio, dobbiamo gridare: Signore, dacci il vino buono, “tu che sei attento alla gioia dei tuoi figli più ancora che ai loro meriti ed alla loro fedeltà” (Ermes Ronchi).
Buona domenica con un messaggio di un poeta, saggista Italo- svizzero:” La cosa più inaudita, più inimmaginabile, più incredibile è proprio questa : che io sia la gioia di Dio, che io possa dare gioia a Dio. È come dire: la sete è gioia della sorgente, la goccia rallegra l’oceano, l’atomo l’infinito, l’ultimo l’eterno”. (Pietro De Marchi).
don Giuseppe Fiorillo.