Dinanzi alla tristezza morale che avvinghia oggi la città, una disillusa, amara, ma orgogliosa lettera, presa a prestito da Giorgio Gaber, indirizzata al Sindaco e rivolta ai miei concittadini
di Maurizio Bonanno
È una Vibo Valentia che va, giorno dopo giorno, perdendo la sua bellezza morale. Rancore, recriminazioni, rivalse, contrapposizioni, astio, invidia, ostilità e vanagloria riempiono ormai le giornate non solo di politici ed amministratori (in carica ed ex), ma anche di quelli che si usa definire “semplici cittadini” (che poi, cosa voglia dire “semplice… boh!), presunti intellettuali e nostalgici storici di una Vibo che fu… e adesso non è.
È una Vibo Valentia che, così come va, ha perso la sua bellezza consumandosi tra scontri verbali e rivalse politiche in un continuo botta e risposta che non coinvolge se non i diretti interessati ed i tanti leoni da tastiera che si esercitano in invettive social ed in filippiche moralisteggianti.
Oh, povera vecchia Vibo mia!
La città è ammorbata in una triste aria di rancorosa caccia alle streghe, di blitz a scovare l’errore dell’altro per rinfacciarglielo scaricandosi così dalle proprie responsabilità. È una città intristita, ripiegata su se stessa, incapace di leggerezza e di un sorriso, soggiogata dai tanti problemi che la soffocano. Senza più una visione ottimistica, senza speranza.
No. Non è questa la mia città. Non è questa la città che ho amato e voglio amare ancora! Non è così che devono essere coloro che ci vivono e qui operano. No.
Mi sono aggrappato ai ricordi di certe atmosfere della “mia” città, di quella dove ho vissuto ed operato, con l’entusiasmo che oggi manca e certe sfide che puntavano alla crescita e non dedicate a distruggere quel che era stato fatto, o veniva fatto, da altri.
Ho raccattato i cocci del mio essere giovane ribelle in nome della libertà. Libertario fino ai limiti dell’anarchia, quando tra i modelli di riferimento vi erano figure come Giorgio Gaber, esempio immortale e invidiabile di vera libertà di espressione non lasciando che di questo se ne appropriasse una fazione politica; immancabilmente libero da ogni ideologia e pioniere del buon senso, anarchico che cercava la qualità.
E, riflettendo, ho preso a modello quelle sue riflessioni poste in forma di lettera aperta: “Io non mi sento italiano”, uno dei pezzi più significativi scritto nel 2002, pochi mesi prima che ci lasciasse offrendoci un ritratto sincero e – a tratti – spietato del nostro Paese.

Nella lettera che lui rivolge al Presidente, Gaber parla con amarezza e disillusione dell’Italia e delle sue contraddizioni, ma allo stesso tempo fa emergere anche l’orgoglio di essere italiano. Perché, in fondo, “io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono”.
Ed è lo stesso sentimento che provo, malgrado tutto, io, nel ribadire con orgoglio che: per fortuna, o purtroppo, mi sento ancora e comunque vibonese.
Dal cantautore mutuo quel suo modo disilluso dove in ogni strofa trasuda l’amarezza che prova nell’assistere impotente al declino, del bel Paese lui, della mia città io.
Sentendomi uomo del dubbio (come lo era Giorgio Gaber, un “apota” quasi, come Giuseppe Prezzolini), un uomo che, come lui, non ama le normali abitudini che sono ben altra cosa dalla quotidiana normalità. Gaber aveva il coraggio di dirlo, anzi di gridarlo, perché aveva dalla sua una capacità sconosciuta ai più: sapeva lagnarsi con eleganza provocando e bastonando tanto il potente quanto il cittadino comune, quasi mai, a suo modo di vedere, del tutto innocente.
Ecco, sentendomi così, provando questi sentimenti, rubo a Gaber questo suo testo e propongo questa “lettera aperta”, inevitabilmente indirizzata al Sindaco, ma certamente rivolta a ciascuno di noi, a tutti coloro che sono vibonesi, di nascita e/o di residenza, che vivono ed operano in questa intristita città: la mia comunque amata Vibo Valentia!

Io M. B. sono nato e vivo a Vibo Valentia.
Io non mi sento vibonese
ma per fortuna o purtroppo lo sono.
Mi scusi Signor Sindaco
non è per colpa mia
ma questa nostra città
non so che cosa sia.
Può darsi che mi sbagli
che sia una bella idea
ma temo che diventi
una brutta poesia.
Mi scusi Signor Sindaco
non sento un gran bisogno
dell’inno a “cosa eravamo”
di cui un po’ mi vergogno.
In quanto agli amministratori
non voglio giudicare
tra quelli che non sanno
e quelli senza più pudore.
Io non mi sento vibonese
ma per fortuna o purtroppo lo sono.
Mi scusi Signor Sindaco
se arrivo all’impudenza
di dire che non sento
alcuna appartenenza.
E tranne Garibaldi (non togliamogli la piazza)
e altri eroi gloriosi
non vedo alcun motivo
per essere orgogliosi.
Io non mi sento vibonese
ma per fortuna o purtroppo lo sono.
Questa bella Città
piena di poesia
ha tante pretese
ma nel nostro mondo
è la periferia.
Mi scusi Signor Sindaco
ma questa amministrazione
che voi rappresentate
mi sembra un po’ sfasciata.
È anche troppo chiaro
agli occhi della gente
che tutto è calcolato
e non funziona niente.
Sarà che i vibonesi
per lunga tradizione
son troppo appassionati
di ogni discussione.
Persino in Consiglio
c’è un’aria incandescente
si scannano su tutto
e poi non cambia niente.
Io non mi sento vibonese
ma per fortuna o purtroppo lo sono.
Mi scusi Signor Sindaco
dovete convenire
che i limiti che abbiamo
ce li dobbiamo dire.
Ma a parte il disfattismo
noi siamo quel che siamo
e abbiamo anche un passato
che non dimentichiamo.
Mi scusi Signor Sindaco
ma forse noi vibonesi
per gli altri siamo solo
dissesto continuo e disastri irreparati.
Allora qui mi incazzo
son fiero e me ne vanto
gli sbatto sulla faccia
cos’è il Risorgimento (con il nostro Michele Morelli).
Io non mi sento vibonese
ma per fortuna o purtroppo lo sono.
Quesa bella Città
forse è poco saggia
ha le idee confuse
ma se fossi nato in altri luoghi
poteva andarmi peggio.
Mi scusi Signor Sindaco
ormai ne ho dette tante
c’è un’altra osservazione
che credo sia importante.
Rispetto ai tanti soloni
che si credon dei
noi forse abbiam capito
che il mondo è un teatrino.
Io non mi sento vibonese
ma per fortuna o purtroppo lo sono.
Io non mi sento vibonese
ma per fortuna o purtroppo
per fortuna o purtroppo
per fortuna
per fortuna lo sono.