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Identità e rappresentazione sacra: una riflessione necessaria

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&NewLine;<p><strong><em>Dobbiamo recuperare il senso profondo delle rappresentazioni sacre&period; Il rischio è che la fede si folklorizzi<&sol;em><&sol;strong><&sol;p>&NewLine;&NewLine;&NewLine;&NewLine;<p>di don Danilo D’Alessandro<&sol;p>&NewLine;&NewLine;&NewLine;&NewLine;<&excl;--more-->&NewLine;&NewLine;&NewLine;&NewLine;<p>Nel cuore delle nostre comunità&comma; spesso si ripetono con fedeltà e passione alcuni gesti che appartengono alla tradizione religiosa&colon; processioni&comma; rappresentazioni sacre&comma; drammi liturgici&comma; rievocazioni storiche della Passione di Cristo o della vita dei santi&period; Sono momenti che aggregano&comma; che mobilitano intere generazioni&comma; che sembrano unire credenti e non credenti in un sentimento comune&period; Talvolta si dice che questi eventi sono &OpenCurlyDoubleQuote;momenti identitari” per la comunità civile&period; Ma è davvero così&quest; E soprattutto&colon; possiamo usare la parola &OpenCurlyDoubleQuote;identità” con leggerezza&quest;<&sol;p>&NewLine;&NewLine;&NewLine;&NewLine;<p>La mia risposta nasce da una perplessità&period; Non una diffidenza verso questi eventi — che anzi&comma; in molti casi&comma; custodiscono una memoria viva della fede — ma una preoccupazione di ordine più profondo&colon; quando parliamo di identità&comma; stiamo toccando qualcosa di decisivo&period; L’identità non è una moda culturale o un’etichetta utile per spiegare l’aggregazione sociale&period; È ciò che ci costituisce&period; È il filo che tiene insieme il passato&comma; il presente e il futuro&period; È ciò che ci fa essere ciò che siamo&comma; come persone e come popolo&period;<&sol;p>&NewLine;&NewLine;&NewLine;&NewLine;<p>Una rappresentazione sacra può essere un riflesso dell’identità di una comunità&comma; ma non ne è la fonte&period; Può custodirla&comma; alimentarla&comma; richiamarla alla memoria&period; Ma se manca un tessuto condiviso di valori&comma; di riferimenti comuni&comma; di esperienza vissuta della fede&comma; allora il gesto rischia di diventare un vuoto involucro&comma; una performance culturale che affascina ma non converte&comma; che unisce ma non radica&period;<&sol;p>&NewLine;&NewLine;&NewLine;&NewLine;<p>L’identità è qualcosa che nasce da una storia condivisa&comma; da una narrazione profonda&comma; da una memoria incarnata&period; Come ha ben spiegato Paul Ricoeur&comma; l’identità è narrativa&colon; non si possiede&comma; si costruisce&semi; non si proclama&comma; si testimonia&period; Una comunità è veramente se stessa non quando organizza un evento spettacolare&comma; ma quando vive quotidianamente il senso di ciò che celebra&period; Non basta &OpenCurlyDoubleQuote;fare la processione”&comma; se poi non si cammina insieme nella vita&period; Non basta &OpenCurlyDoubleQuote;mettere in scena il Vangelo”&comma; se poi non lo si vive nelle scelte personali&comma; familiari&comma; sociali&period;<&sol;p>&NewLine;&NewLine;&NewLine;&NewLine;<p>Per questo&comma; dobbiamo recuperare il senso profondo delle rappresentazioni sacre&colon; non come strumenti identitari&comma; ma come epifanie dell’identità&period; Esse ci aiutano a ricordare chi siamo&comma; ma solo se siamo già in cammino verso ciò che vogliamo essere&period; Senza questo movimento interiore&comma; il rischio è che la fede si folklorizzi&comma; e che la nostra identità si appiattisca su un &OpenCurlyDoubleQuote;noi” generico&comma; che commuove ma non trasforma&period;<&sol;p>&NewLine;&NewLine;&NewLine;&NewLine;<p>La sfida allora è educativa&period; Formare comunità che sappiano riconoscere il valore dei simboli senza smarrirne il senso&period; Favorire rappresentazioni che siano frutto di una vita cristiana autentica&comma; non surrogati di appartenenza&period; Solo così la bellezza dei nostri gesti sarà vera bellezza&colon; segno visibile di un’identità profonda&comma; umile&comma; forte&comma; che nasce dall’incontro con Cristo&period;<&sol;p>&NewLine;

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