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Buon 25 aprile a tutti noi. Giorno più importante della storia repubblicana

…ma il 25 aprile è la festa di tutti gli italiani, senza contrapposizioni politiche, né ideologiche

da Maurizio
26 Aprile 2025
in editoriale, opinioni
Tempo di lettura: 7 minuti
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Riflessioni ripercorrendo i passaggi storici reali di una data fondativa della nostra Repubblica, una Liberazione che fu di tutti, e per tutti, e non di una sola parte, anzi…

di Maurizio Bonanno

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Oggi, 25 aprile 2025 siamo ancora nel pieno del lutto nazionale per la morte di Papa Francesco.

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Ma è anche il 25 aprile che in Italia da ottant’anni è Festa della Liberazione, una data fondativa per la nostra Repubblica, per ricordarci che è il frutto della Resistenza. E che la Resistenza, così come il Risorgimento, sono, non possono essere altro che, un patrimonio nazionale di valori che deve essere condiviso da tutti, senza contrapposizioni politiche o ideologiche.

Ed invece da troppo tempo non è così. Ingiustamente non è così.

E il lutto nazionale è diventata l’occasione per fomentare la lunga storia di tensioni che ogni anno si consumano attorno al 25 aprile. 

L’occasione scatenante è stata la decisione del Consiglio dei ministri di proclamare cinque giorni di cordoglio pubblico che arrivano fino al 26 aprile (che è poi il giorno dei funerali di Papa Bergoglio, quindi, come facevi a sospendere il lutto nazionale il giorno prima dei funerali solenni?) e il conseguente invito alla sobrietà, con il relativo riemergere di quelle divergenze mai sopite sulla commemorazione della Liberazione. Perché le celebrazioni del 25 aprile sono state percepite negli anni come appannaggio di una sola parte politica, della sinistra generando resistenze e freddezza in quell’area della destra italiana che ha sempre mantenuto un rapporto complesso con questa ricorrenza.

In questo contesto già polarizzato, il lutto per il pontefice e quel banale invito alla sobrietà hanno aperto una nuova inedita strada per la solita contrapposizione.

Eppure, la sobrietà sarebbe semplicemente una virtù, un modo di essere e uno stile di vita che valorizza la percezione della misura, della regola, della capacità di essenzializzare. Il termine deriva dalla parola latina ebrius a cui si è aggiunta una s- privativa, per cui indica il contrario di ebbro, esaltato, agitato, sregolato, smisurato: sobrio è colui che vive in modo equilibrato, misurato, entro i limiti. Vive insomma in modo innocente, ossia senza nuocere agli altri e all’ambiente, scevro da ogni forma di eccesso o di superfluo, con misurato buon gusto. Ed invece…

Cosa avranno immaginato, invece, i tanti che si sono ribellati all’invito ad un festeggiamento all’insegna della sobrietà?

Il punto, in realtà, è altro, ben altro.

Ha fornito l’occasione per ribadire l’appropriazione indebita, storicamente falsa, del 25 aprile, che appartiene alla sinistra, così come al centro, allora – il 25 aprile 1945 – rappresentato dalla Democrazia Cristiana, così come alla destra liberale, che sin dal gennaio del 1925, come Partito liberale italiano, era passata all’opposizione di un governo del quale denunciava la volontà di sopprimere le libertà costituzionali e la voce del Parlamento.

Ed allora, basta!

Basta con queste appropriazioni indebite; sarà anche il loro il 25 aprile, ma è anche mio, che di sinistra non sono e mi impegno a vivere abitualmente con una certa sobrietà, quella sobrietà che è modus vivendi della gran parte degli italiani.

E rivendico questa volontà di celebrare – anche io e a modo mio – il 25 aprile… ricordando che non può che essere una celebrazione ricca di tante e diverse sensibilità, perché sancisce la vittoria del pluralismo contrapposto al monocolore, al monopensiero, ovvero al pensiero unico imposto fino a quel momento con la forza dalla dittatura; dittatura fascista in questo caso, ma cosa sono state quelle che tenevano sotto una “cortina di ferro” i Paesi dell’est europeo? E che cos’è il regime che sopprime, incarcerando e/o avvelenando l’avversario politico? E che vuole imporre con le armi l’appropriazione indebita di un pezzo di territorio di un’altra nazione?

Ma, tornando al nostro 25 aprile, è bene ribadire che è patrimonio di tutti gli italiani, perché è storia italiana.

E la storia ricorda che i liberali italiani furono parte attiva del Comitato di liberazione nazionale sin dalla sua costituzione: fu Leone Cattani a essere delegato in rappresentanza dei Gruppi di ricostruzione liberale a stringere l’accordo di Milano del 4 luglio 1943, dove – assieme a Riccardo Lombardi per il partito d’Azione, Concetto Marchesi e Geimonat per i comunisti, Mentasti per i democristiani, Veratti per i socialisti – furono gettate le basi per la costituzione del Cln.

L’idea della Resistenza nasce come idea plurale, fatta non solo dai partigiani — di ogni fede politica — ma anche dai militari, dai carabinieri, dai religiosi, dagli ebrei, e dalle donne: moltissime donne. Eppure, ci sono personaggi di questa nostra storia recente che, in virtù di una egemonia culturale e politica ancora imperante nei soliti salotti radical-chic, sono stati relegati ai margini ingiustamente; e che sarebbe tempo di riconsiderare, nei loro pregi che sono tanti e che vanno strappati dalla cancellazione, e sottoposti al vaglio critico senza pregiudizi; perché persone, questioni, avvenimenti, fatti, bisogna valutarli per quello che effettivamente sono stati e non per quello che si desidera siano.

Uno di questi personaggi, ad esempio, è Randolfo Pacciardi, leggendario combattente delle Brigate Garibaldi, parlamentare costituente, ministro degli Esteri, segretario del Partito Repubblicano, infine per decenni relegato ai margini della vita politica, Oppure come Edgardo Sogno, medaglia d’Oro: guascone nella vita e al tempo stesso gentiluomo di antico stampo, attentissimo e sensibile alla regola e alla sostanza. Edgardo Sogno Rata del Vallino (questo il nome completo), sabaudo fino al midollo, tre lauree (giurisprudenza, scienze politiche, lettere), era a capo di una formazione partigiana autonoma, liberale e monarchica, la “Franchi”; fu lui a salvare la vita a uno dei padri della Repubblica, Ferruccio Parri, venne insignito della Medaglia d’oro al valore militare. Dichiaratamente liberale e monarchico era a fianco di quanti si opposero ai rigurgiti del neo-fascismo nostalgico, ma ancor più mobilitato contro i comunisti: «Sono contro tutte le dittature, nere o rosse che siano», il suo motto e il suo credo.

Eppure, con il passare degli anni, la memoria della Resistenza è stata tristemente «partitizzata» lasciando campo libero ad una sola parte, che se n’è appropriata illegittimamente sia pure favorita dall’indifferenza degli altri che così lasciavano che la piazza fosse appannaggio di un relativismo malato dove non si distingue più la parte giusta dalla parte sbagliata, che invece dovrebbe essere evidente, perché è chiaro che se una contrapposizione c’è, e deve essere rappresentata, è solo tra chi professa e pratica la libertà e la democrazia e chi invece la nega (e i populisti, i putiniani, secondo voi, da che parte devono stare?).

Ed allora, da liberale e democratico, schierato con lo sguardo ad Occidente, posso con orgoglio dire di sentire, certamente e senza dubbio alcuno – sobriamente, ma con altrettanta decisione e convinzione – che questa festa è la mia festa, e quella piazza è la mia piazza, perché in questa piazza mi sento a casa, perché la piazza è il luogo ideale dove festeggiare la libertà, dove festeggiare la nascita di una nazione libera e democratica che ha finora garantito ai suoi cittadini diritti umani, pace, sviluppo, progresso, prosperità, salute, diritti civili in dosi mai conosciute prima. Perché è bene ricordarcelo: la nostra Repubblica, la nostra democrazia compiuta è ancora giovane, festeggiare gli 80 anni delle Resistenza è un periodo brevissimo per le pagine della Storia.

Epperò, la storia italiana, seppure ancora giovane, è certamente fatta della genialità e dell’umanità della sua gente, di noi. Una genialità che si è espressa in un patrimonio artistico più grande di quello di tutte le altre nazioni messe assieme e di un’umanità che si è tradotta in capacità di sacrificio e di lungimiranza, come avvenne allora con la Ricostruzione, come ancora stiamo dando prova quotidianamente, anche adesso.

Il nostro 25 aprile è la pagina eroica di una nazione intera che si sta ancora costruendo attraverso un percorso più complicato rispetto ad altre nazioni, perché la storia italiana non è fatta di grandi vittorie militari, di eserciti in grado di incutere timore, di politici capaci di disegni strategici globali (con due eccezioni: Camillo Cavour, al fianco di Vittorio Emanuele II, e Alcide De Gasperi, con Luigi Einaudi al Quirinale).

E basterebbe questo per capire che il 25 aprile deve costituire il momento in cui si mettono da parte le differenze ideologiche e politiche e si pone l’accento sui valori comuni della Resistenza, quale modello di riferimento importante e valido ancora oggi.

È la data simbolo della partecipazione italiana alla guerra degli Alleati per la liberazione del Paese dal nazifascismo. E poiché la Liberazione è avvenuta propugnando gli ideali comuni della libertà, della democrazia e della giustizia sociale, se non abbiamo rinunciato a nessuno di questi valori, essi ci appartengono: al di là e al di sopra di ogni schieramento partitico, perché essi sono ancora attuali, perché essi sono ancora da difendere da pericolosi rigurgiti illiberali e antidemocratici sempre in agguato, ancora di più in questa fase storica.

La bandiera che sventolava il 25 aprile del 1945 era il tricolore: quella che alle origini era la bandiera solo degli italiani che si riconoscevano nei valori di libertà e di democrazia, divulgati a suo tempo dalla Rivoluzione francese, da coloro che all’inizio erano una minoranza che avanzava con la forza di dirsi “Fratelli d’Italia” e che, all’alba della Repubblica, diventa il simbolo di unione di un popolo intero: cattolici e laici, meridionali e settentrionali, comunisti e anticomunisti, liberali e socialisti; democratici. Bandiera emblema di unità, perché l’Italia tutta fu quel giorno “liberata” e con la Liberazione fu compiuta una scelta chiara e netta: stare con l’Occidente, con il mondo democratico e liberale, all’interno di una coalizione di nazioni libere e democratiche, scelta mai più messa in dubbio da alcuno e da ribadire ancora più forte in questo difficile momento. Un 25 aprile per ribadire come gli italiani, figli di quella Liberazione, non possono non essere al fianco di ogni popolo che lotta per la propria Liberazione. Per ribadire ferma condanna verso qualunque dittatura, senza distinzione di colore politico, di ideologia.

E il nostro tricolore deve essere ancora oggi l’unica bandiera che deve sventolare nella ricorrenza della Liberazione. Nessun altro simbolo, nessun’altra bandiera può trovare posto in questo giorno: non simboli di parte, non simboli liberticidi, non inni che inneggiano a idee che nulla hanno a che fare con la Liberazione.

Che il 25 aprile torni ad essere inteso come patrimonio condiviso e festa della libertà. Perché solo così deve essere celebrato, perché questo deve essere l’unico modo per festeggiare pienamente la liberazione, la festa condivisa dedicata ad angloamericani, partigiani di ogni colore, ebrei, liberali ed antifascisti di ogni tempo, in nome della democrazia e della libertà.

Continuiamo, dunque, a festeggiare il 25 aprile facendo sentire la nostra presenza sobria, allegra e misurata e non lasciando questa ricorrenza ad altri monopoli culturali, da esaltati, agitati.

Perché questa festa sia la festa dell’Italia tutta: libera, unita, indivisibile.

Tags: 25 aprileclnfestaitalianiliberazionerepubblica italianasobrietà

Maurizio

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