Saffi si rivelò grande anticipatore di orientamenti e indirizzi di quella variegata democrazia che sarebbe venuta saldandosi verso la fine del secolo e l’inizio del novecento
In un periodo come quello attuale dove il populismo sta annegando la politica vera in un mare inquinato dove prevale l’interesse personale e di parte piuttosto che il bene pubblico, ricordare alcune figure storiche che hanno fatto l’Italia dovrebbe essere occasione e monito, esempio e modello di riferimento.
È il caso, ad esempio, di Aurelio Saffi, figura importante dell’Italia unitaria che per quella Italia unita spese il suo impegno politico e culturale. La sua famiglia d’origine era aristocratica e benestante, i suoi studi di carattere giuridico (il suo ultimo impegno nella vita fu proprio quello di insegnare diplomazia e storia dei trattati internazionali all’Università di Bologna, chiamato da De Sanctis nel 1878). L’interesse per la cosa pubblica fu in lui precoce. Dopo i primi approcci politico-culturali, abbracciò per intero il pensiero e l’azione di Giuseppe Mazzini impegnandosi nel 1849 nella Repubblica Romana: fu da subito ministro degli Interni e presto uno dei triumviri, insieme a Carlo Armellini e allo stesso Mazzini.
La sua preparazione giuridica ne fece uno dei principali estensori della Costituzione della Repubblica Romana, un testo ancora oggi esemplare per sintesi, per gli alti princìpi di libertà e di rispetto. L’idea era quella di ripetere in Italia l’esperienza degli Stati Uniti, che furono peraltro i primi a riconoscere la Repubblica Romana. L’esperienza fu esaltante ma durò poco e nel luglio del 1849 la Repubblica cadde per mano dell’esercito francese, che appoggiava il papa. Saffi scelse la via dell’esilio, in Liguria prima, per poi raggiungere Mazzini in Svizzera e con lui trasferirsi a Londra. Nel 1852 era a Milano, a organizzare moti rivoluzionari. Condannato in contumacia a vent’anni di carcere, tornò a Londra, dove sposò Giorgina figlia di scozzesi (il padre era sir John Craufurd) erano ferventi mazziniani e la cui madre organizzava movimenti femministi seguendo le idee del genovese.
È importante ricordare questo perché l’ignoranza che la nostra cultura ha del nostro Risorgimento porta ad ignorare quale fu l’influenza italiana in tanti movimenti europei (e non solo) di progresso e liberazione.

Mazzini morì nel 1872 e Saffi non soltanto prese a curare le sue opere, organizzandole nel modo giunto fino a noi, ma fondò a Forlì il primo circolo a lui intitolato. Definito l’erede di Mazzini, fu iniziato in massoneria il 1° marzo 1862 nella loggia Dante Alighieri di Torino. Ad Aurelio Saffi è intitolata la loggia numero 105 all’Oriente di Forlì; fondata il 23 ottobre 1900, chiusa nel 1925 quando le camicie nere di Mussolini devastarono i templi massonici e ripaerta il 5 maggio 1945.
Negli ultimi quindici anni della sua vita, fino alla morte avvenuta nel 1890 a San Varano, Saffi si rivelò grande anticipatore di orientamenti e indirizzi di quella variegata democrazia che sarebbe venuta saldandosi verso la fine del secolo e l’inizio del novecento: dal liberismo in funzione antimonopolistica alla religione individuale contro ogni scuola materialista; dall’esaltazione del parlamentarismo inglese al ripudio del trasformismo; dalla difesa della laicità dello stato alla riaffermazione del magistero morale della Chiesa; dalla propaganda irredentista per Trento e Trieste all’ostilità verso il mondo germanico; la condanna del cieco empirismo legislativo, per cui eccezioni e norme esplicative finiscono col creare un groviglio inestricabile e contraddittorio rispetto al dettato iniziale, un’idea questa di grandissima attualità.
Uno studioso, Aurelio Saffi, la cui cultura giuridica e politica del nostro paese deve tanto. Non casualmente Antonio Gramsci, riferendosi agli spiriti massonici di maggior rilievo che avevano voluto l’unità italiana, scriveva sul “Mondo” del 17 maggio 1925 che la “massoneria è stata l’unica istituzione forte creata dalla borghesia italiana…”.