La spettacolarizzazione di questi giorni di un consolidato rito bimillenario falsa la realtà e porta con sè il germe di una inconscia involuzione che può trasformare le democrazie occidentali in pericolose teocrazie
di Maurizio Bonanno
Se ormai la vita quotidiana si svolge esclusivamente sui social e ogni ragionamento viene filtrato dall’Intelligenza Artificiale, il confine tra il reale ed il falso non si coglie, così come non coglie il senso del ridicolo: Trump papa?
Mancano tre giorni all’avvio del Conclave e sull’elezione del nuovo Papa siamo al casting, perché il problema serio è che a rincorrere i social sono ormai gli stessi giornali – carta stampata, radio, tv, testate online – che hanno adottato la stessa modalità e lo stesso criterio di trasmettere informazione.
Ed allora, si trasferiscono le discussioni trash, da bar sul prossimo Papa, come se stessimo parlando di Sanremo, di XFactor o di Amici di Maria De Filippi. Si assiste a tragicomiche scene di ‘inseguimenti’ in stile Iene per strappare parole ai cardinali, che già abbiamo sperimentato essere ridicole per i politici – comunque condannati ad interpretare i ruoli del ‘teatrino della politica’, figuriamoci poi per i porporati – che ovviamente stanno al gioco e rilasciano dichiarazioni così paradossali che invece tutti assumiamo con l’avidità tipica di un post.
Mancano tre giorni al Conclave, rito che si perpetua da più di un millennio e che invece adesso sembra essere la trama di una nuova fiction. Mancano tre giorni e c’è chi titola: i cardinali non hanno ancora trovato una sintesi.
Ma è un conclave, non un congresso di partito!
Eppure, si spendono articoli sulle ‘cordate’ (più presunte che reali, ovviamente) che potrebbero prevalere sulle altre, come se si stesse parlando delle primarie del Pd, con il presunto match fra Parolin e Zuppi al posto di quello, molto meno spirituale, che fu fra Elly Schlein e Stefano Bonaccini. Se è bene che sia italiano piuttosto che straniero, europeo meglio che asiatico, o africano invece che americano, come se si stesse parlando della presidenza della Commissione Europea, o dell’ONU.
I più anziani, invece, richiamano alla memoria i congressi DC sperando in un nuovo Donat Cattin che inventi un “preambolo” dal quale far scaturire il compromesso che porterà al nuovo Papa. Oppure i congressi del vecchio Pci con il confronto tra miglioristi e cossuttiani, tra riformisti e conservatori!
Perso il senso del ridicolo, gli stessi cardinali stanno al gioco con dichiarazioni così bizzarre, estrose, che pure vengono accolte e commentate: “Lo Spirito Santo ha già scelto ma noi ovviamente abbiamo bisogno di più tempo. Sono sicuro che saremo pronti al momento giusto e che daremo alla Chiesa il Papa che Dio vuole”, dice il cardinale algerino Jean Paul Vesco. “Ci sono 133 nomi, stiamo con gli occhi aperti”, afferma il cileno Fernando Natalio Chomalí Garib. Mentre il cardinale Claudio Gugerotti va per metafora: “Siamo dei fiori, un po’ da annaffiare, ma siamo dei fiori”. E l’allocco che ci casca, pur di trappare un’affermazione da girare come scoop in redazione, chiede: Quando sboccerà? Mercoledì, giovedì, venerdì? E il porporato, stando al gioco risponde: “Chi lo sa? Lo Spirito Santo fa degli scherzi. Non sappiamo mai. Serve tanta acqua”.
Tutto si spettacolarizza, anche il sacro. Si misura l’audience, com’è accaduto per i funerali di Bergoglio e il loro impatto sulle altre trasmissioni; impazza sui giornali il ‘totopapa’.
Ma c’è dell’atro in tutto questo. Ed è un “altro” per niente religioso, affatto legato alla fede, che nulla a che fare con l’essere un “credente”.
La conferma si era già avuta ripensando alle reazioni dei più alti organi dello Stato di fronte alla dipartita di Papa Bergoglio, che sono state per molti versi inedite. Al di là della proclamazione di ben 5 giorni di lutto nazionale (per ex presidenti della repubblica o tragedie nazionali se ne indice uno solo), la grande novità rispetto ad occasioni analoghe del passato sembra essere stato piuttosto nella trasversalità con cui si è fatta deroga sostanziale al principio di laicità sancito dalla nostra Costituzione.
Quello che è apparso evidente è che la morte di Bergoglio sia stata celebrata come la dipartita di un Capo di Stato; di più, di un monarca. Ecco, appunto, è parso chiaro che è tornata nell’opinione pubblica una certa voglia di avere un Papa-Re.
Ciò che preoccupa, è stato vedere anche tra “credenti” questa necessità realizzatasi in quel pandemonio di sudori e di odori, di contatti carnali, di festa di strada che è stato la seconda parte del funerale di Papa Francesco, esploso in un bisogno vitale di identità e di identificazione che è stata tutt’altro che religiosa. Coltivata dal sentimento popolare che trasforma le cerimonie, i protocolli e le etichette in irrazionale atto di massa, meglio di un concerto di Vasco Rossi o di Lady Gaga.
E diventa carisma democratico e, attraverso questo marchio di simpatia popolare, ottiene una legittimazione di massa.
Il pop che, attraverso la sublimazione social fatta di post e like, ha trasformato anche la sacralità del Papato sostituendo – com’è avvenuto durante l’ultimo viaggio da San Pietro a Santa Maria Maggiore – la meditazione con l’applauso, il pio segno della croce al passaggio del feretro con il click di un selfie col telefonino, perché più che le parate, contano le amplificazioni delle moderne tecnologie che consentono di far indossare le vesti papali pure a Trump,
L’infallibilitá di un Papa, come anche la sua “bravura” non riguarda più la sua “agenda di governo” della Chiesa e della Fede, che può essere buona o cattiva, efficace o inefficace. È misurata attraverso l’algoritmo formatosi dall’effetto dopato dai social-media.
Non conta più che un Papa sia il frammento di un’intera storia bimillenaria. E non conta nemmeno che sia una guida spirituale… nient’altro che questo, d’altronde, può e deve essere in un Paese che è laico, aconfessionale, interreligioso.
C’è nostalgia di un Papa-Re. C’è chi ritiene che queste democrazie occidentali sempre più “deboli” debbano essere sostituite con delle teocrazie.
È questo il pericolo che incombe sulle nostre società, ma… non è un attacco che proviene dai cardinali o dal conclave: è un rischio che si corre in questo mondo confuso, ambiguo.
Ed allora, bisogna restare vigili per non consentire che vi siano deroghe alla laicità dello Stato, che alla democrazia plurale non subentri un moralismo fondamentalista; per impedire che vinca nell’opinione pubblica un giustizialismo spietato. E che le nostre nazioni possano malauguratamente trasformarsi in una teocrazia guidata da un papa-re!