La speranza cristiana non è ottimismo ingenuo, ma certezza che il male non avrà l’ultima parola. La lotta per il bene richiede impegno terreno e sostegno spirituale
di Don Danilo D’Alessandro
In un’epoca segnata da guerre, disuguaglianze e smarrimento spirituale, il ruolo della Chiesa cattolica torna a interrogare le coscienze. Le parole e i gesti del Papa, oggi come ieri, sono scrutati con speranza da chi cerca risposte, e con scetticismo da chi dubita dell’efficacia della diplomazia vaticana. Eppure, al di là delle polemiche o delle etichette – “progressista”, “tradizionalista”, “politico” –, ciò che emerge è una domanda più profonda: come può il magistero pontificio incarnare il Vangelo in un mondo lacerato?
Radici in Leone XIII, sguardo al futuro
Come ricorda la storia, Leone XIII (1878-1903) seppe coniugare fermezza dottrinale e apertura al mondo moderno. Con la Rerum Novarum difese i diritti dei lavoratori; con la preghiera a San Michele Arcangelo richiamò alla lotta spirituale contro il male. Oggi, in un contesto altrettanto drammatico, l’attuale pontefice sembra raccogliere quell’eredità: denunciare le ingiustizie senza cadere nella retorica, custodire la fede senza rinchiudersi nella nostalgia.
Non si tratta di idealizzare un uomo, ma di riconoscere che la Chiesa è chiamata a essere segno di unità in un’umanità frammentata. Le critiche – che lo vedono troppo “moderato” per alcuni, troppo “ingerente” per altri – confermano una verità: il Successore di Pietro non può piacere a tutti, perché il Vangelo stesso è “segno di contraddizione” (Lc 2,34).
Le sfide: tre fronti per la pace e la giustizia
- Medio Oriente: terra di sangue e speranza
- Il grido delle comunità cristiane perseguitate, le tensioni tra Israele e Palestina, le guerre dimenticate (dallo Yemen alla Siria) chiedono alla Chiesa di alzare la voce senza timori. Il viaggio del Papa in Iraq nel 2021, quando invitò a riconoscere che “nessuno è straniero nella casa di Dio”, resta un modello: la diplomazia vaticana può fare da ponte tra religioni e poteri, purché mantenga la libertà di denunciare violenze e soprusi.
- Ucraina: quando la guerra diventa “normalità”
Di fronte a un conflitto che rischia di cristallizzarsi, la Santa Sede insiste su due pilastri: difesa della vita umana (con appelli per i prigionieri e i civili) e ricerca di una pace giusta, non imposta con le armi. La sfida è evitare che la neutralità si traduca in silenzio, ma diventi invece spazio per mediare. Il dialogo con la Chiesa ortodossa, nonostante le tensioni, resta cruciale. - Giustizia sociale: il Vangelo non è un’utopia
La povertà crescente, i migranti respinti, lo sfruttamento ambientale ci interrogano: come incarnare la Laudato Si’ e la Fratelli Tutti? Leone XIII insegnò che la dottrina sociale non è ideologia, ma applicazione del comandamento dell’amore. Oggi serve coraggio per criticare modelli economici che sacrificano i deboli, e al tempo stesso costruire alleanze concrete (con sindacati, ONG, istituzioni) per restituire dignità agli ultimi.
Un Papa “giusto”?
La risposta è nella comunità
La domanda non è se il pontefice sia all’altezza dei tempi, ma se la Chiesa intera saprà accompagnare il suo ministero con opere e preghiera. Come scriveva San Paolo: «Noi siamo collaboratori di Dio» (1 Cor 3,9). Le grandi sfide non si vincono da Roma, ma attraverso una comunità sinodale, dove parrocchie, movimenti e singoli fedeli diventino artefici di pace e giustizia.
Il rischio oggi è duplice: ridurre il Papa a un simbolo da idolatrare o da disprezzare, dimenticando che la sua autorità è servizio; oppure demandare a lui ogni responsabilità, mentre spetta a tutti noi lottare contro l’indifferenza.
Costruttori di speranza
All’inizio del Novecento, Leone XIII affidò la Chiesa a San Michele Arcangelo, invocando protezione contro le forze del male. Quel gesto non era una fuga nel misticismo, ma un atto di fiducia: la lotta per il bene richiede impegno terreno e sostegno spirituale.
Oggi, mentre il mondo sembra precipitare nel caos, il pontefice ci ricorda che la speranza cristiana non è ottimismo ingenuo, ma certezza che il male non avrà l’ultima parola. Sta a noi, come Chiesa in cammino, tradurre questa speranza in gesti concreti: accogliere chi fugge dalla guerra, sostenere chi lotta per i diritti, pregare per i nemici.
Il futuro non si costruisce con i discorsi, ma con mani che si tendono, come quelle di Cristo sulla croce.