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Sanità in Calabria, il racconto assurdo di quanto accaduto ieri pomeriggio in un Pronto Soccorso

AMBULANZA 118

La ricostruzione di una vicenda incredibile quanto inammissibile, fatta direttamente dal medico del 118 che l’ha vissuta suo malgrado in prima persona

di Maurizio Bonanno

“Verso le 17 di martedì riceviamo una chiamata: caduta accidentale, uomo, trauma cranico … Arrivati sul posto, accuratamente visitato il paziente, raccolta l’anamnesi e medicato, identifico un codice verde e mi dirigo verso l’ospedale di Tropea dove arriviamo in pochi minuti. Ci ricevono un medico cubano e un infermiere che ci dicono che non lo possono accogliere perché le linee interne non funzionano e non potrebbero fargli gli esami (Tac e quant’altro) che sarebbero necessari. Risultato: si rifiutano persino di fare il triage. Secondo loro (ma non l’hanno neppure visitato) devo portarlo da un’altra parte. Loro non possono riceverlo”.

Inizia così il racconto, quasi fosse una di quelle fiction di E.R. però raccontata col tratto critico di un regista che intende evidenziare i paradossi di una sanità malata, di quanto accaduto ieri pomeriggio a Tropea. È il racconto – come definirlo? Assurdo? Surreale? Paradossale? Drammatico? Inverosimile? Inammissibile? – di un medico del 118 che opera in Calabria.

È il racconto della dottoressa Alessia Piperno che, da tempo, denuncia la situazione assurda in cui, spesso, si trova a lavorare e che ieri si è trovata ad essere protagonista involontaria di questa storia assurda, che ci ha ricostruito e che noi riportiamo così come ci è stata esposta.

“Si accende una discussione in cui faccio presente – ricostruisce quanto vissuto Alessia Pierno – che si tratta di un codice verde, che non è necessario il medico: basta una prima accoglienza, fargli un accesso venoso, una medicazione, gli esami. Se, poi, fosse necessario il medico, ci si penserà dopo. Al massimo si potrà utilizzare un’ambulanza non medicalizzata. Niente da fare. Il rifiuto continua. Fuori, i parenti del paziente cominciano a perdere la pazienza e dobbiamo faticare a calmarli. Io l’ospedale di Tropea lo conosco bene: basterebbe prenderlo in carico, sistemarlo in un letto e aspettare che le linee ritornino a funzionare, fargli una flebo, tenerlo sotto osservazione e poi, si potrà rivalutarlo”.

“Una cosa è certa, in scienza e coscienza – confida così il suo travaglio, personale, umano e professionale – io ho il dovere di decidere che quel paziente ha bisogno di assistenza ospedaliera urgente sia pure in codice verde. E chi lavora al Pronto Soccorso, non può respingerlo. Anche perché non è una fase di particolare affollamento. Non ricevo aiuto neppure dalla centrale operativa di Catanzaro che invece di imporsi, invitare il medico di Pronto Soccorso a fare il suo lavoro o al massimo chiamare i carabinieri, ha pensato bene di dire “Ma se non accetta il paziente io che devo fare?” E spostare così un mezzo medicalizzato lasciando il territorio completamente scoperto. Dopo un’ora di batti e ribatti, sono comunque costretta a portarlo via”.

Il racconto prosegue: “Partiamo per Lamezia e io prego che, nel frattempo, non accada qualcosa nella zona di Tropea, che qualcuno abbia bisogno urgente di un’ambulanza con il medico a bordo. Mentre stiamo sulla strada per Lamezia, qualcuno deve avere avuto una resipiscenza. Ci chiamano e ci dirottano su Vibo Valentia che è molto più vicino. Almeno il rischio per il territorio è risolto. Il Pronto soccorso di Vibo Valentia accoglie il paziente in codice verde come avevo detto io. Ma ci sono volute tre ore dall’inizio di questa vicenda assurda”.

“I parenti del ferito mi fanno sapere che hanno già denunciato tutto ai carabinieri. Secondo me – è la conclusione del medico –si è trattata di una vera e propria omissione di soccorso”.

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