La presa della Bastiglia ci ricorda che la vera rivoluzione nasce dal basso, non da élite che vogliono solo cambiare le poltrone
di Don Danilo D’Alessandro
Non eravamo nobili. Non eravamo preti, né dotti con le parrucche bianche che parlavano di libertà nei salotti.
Eravamo il popolo.
Gente con le mani spaccate dal lavoro, la schiena piegata dal peso, lo stomaco vuoto da giorni.
Io mi chiamo Pierre. Faccio il maniscalco. Ma quel 14 luglio 1789 non ero né artigiano né suddito: ero solo un uomo che non voleva più essere schiacciato.
A Parigi non si viveva: si sopravviveva. Il re, dalla reggia, taceva. I suoi ministri ci caricavano di tasse. Il pane costava più della vita. E i bambini piangevano nelle culle vuote. Nessuno ci guidava. Non c’erano partiti. Non c’erano generali.
C’eravamo solo noi: macellai, lavandaie, portinai, garzoni, venditori di strada. Gente che sapeva che, o si cambiava tutto, o si moriva.
Il 13 luglio, ci procurammo dei fucili all’Hôtel des Invalides. Il giorno dopo, andammo alla Bastiglia.
Non per liberare sette poveri disgraziati, ma per prendere la polvere da sparo. E per abbattere il simbolo di tutto ciò che ci aveva oppressi.
La Bastiglia era il luogo dove si entrava senza processo, solo perché qualcuno in alto aveva deciso così. Era il castello della paura, la prova che noi non contavamo nulla.
Non fu una mossa strategica. Fu un grido collettivo, un assalto disordinato ma potente.
Qualcuno tentò di trattare, ma loro spararono. Allora non parlammo più. Avanzammo. Alcuni soldati reali, commossi dal nostro coraggio, si unirono a noi. Puntammo i cannoni, minacciammo di far saltare tutto.
Il governatore si arrese.
Entrammo. Senza padrini, senza titoli, senza benedizioni dall’alto. La Bastiglia cadde non per opera di filosofi illuminati o rivoluzionari di professione. Cadde sotto la spinta della gente vera, della Parigi delle bettole, delle botteghe, delle cucine e delle officine.
Fu una rivoluzione senza curriculum, ma con anima, cuore e stomaco. Non per sostituire un re con un altro. Ma per dire basta, per alzare la testa, per ridare dignità a chi da secoli viveva in ginocchio.
Ecco cos’è stata la presa della Bastiglia: non un colpo di teatro dell’élite, ma una ferita aperta dal popolo, che quella mattina non chiese il permesso a nessuno per cominciare a scrivere la storia con le proprie mani. Il grido dei piccoli che Dio ascolta sempre.
La storia ci mostra che quando i potenti diventano sordi, Dio presta orecchio ai poveri.

La presa della Bastiglia non fu solo un evento politico o militare. Fu una Pasqua storica del popolo francese, una liberazione dalla schiavitù dell’umiliazione quotidiana.
Dio non benedice la violenza, ma ascolta sempre il grido degli oppressi.
Quel giorno, il popolo non combatteva per ambizione, ma per sopravvivenza. Non voleva dominare, ma esistere. Nessuno li aveva armati ideologicamente: la fame, l’ingiustizia e il silenzio dei palazzi avevano preparato la miccia.
La Bibbia ci insegna che la Storia è il luogo in cui Dio si rivela attraverso i piccoli:
• Mosè non parlava da solo davanti al Faraone: parlava per conto di un popolo schiacciato.
• I profeti non avevano titoli, ma parlavano con il fuoco dello Spirito, denunciando re e sacerdoti infedeli.
• Gesù stesso, nel suo primo discorso a Nazaret, proclamò: “Mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai poveri, a proclamare la liberazione ai prigionieri” (Lc 4,18).
La presa della Bastiglia ci ricorda che la vera rivoluzione nasce dal basso, non da élite che vogliono solo cambiare le poltrone. Dove c’è un popolo che si rialza, lì si annuncia un pezzo di Vangelo, lì si muove una verità che scuote la terra.
È la rivoluzione della dignità, quella che non cerca padroni nuovi, ma il riconoscimento che ogni essere umano ha un volto, una voce e un valore. E quando questo avviene, il cielo tace, ma approva.
Perché, come canta Maria nel Magnificat: “Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili”.