[adrotate group="4"]

Giustizia, informazione e coscienza critica: serve una nuova onestà del pensiero pubblico

informazione libera

&NewLine;<p><strong><em>La democrazia non si nutre di adorazione&comma; ma di critica&period; Un magistrato non è un conduttore televisivo&period; Un giornalista non è un apostolo&period; Un politico non è un manager della visibilità<&sol;em><&sol;strong><&sol;p>&NewLine;&NewLine;&NewLine;&NewLine;<p>di Antonello Talerico&ast;<&sol;p>&NewLine;&NewLine;&NewLine;&NewLine;<&excl;--more-->&NewLine;&NewLine;&NewLine;&NewLine;<p>Viviamo un’epoca in cui la narrazione della giustizia ha oltrepassato i confini dell’aula per diventare fenomeno mediatico&comma; rito collettivo&comma; oggetto di consumo&period; Un tempo era l’imputato ad essere sottoposto a giudizio&period; Oggi&comma; non di rado&comma; è la giustizia stessa – o meglio&comma; la sua rappresentazione – ad essere sotto processo&period; E quando a farlo è una voce libera&comma; intelligente&comma; dissonante&comma; come quella di Antonella Grippo&comma; allora vale la pena fermarsi a riflettere&period;<&sol;p>&NewLine;&NewLine;&NewLine;&NewLine;<p>Non servono eroi&comma; ma nemmeno altari intoccabili&period;<&sol;p>&NewLine;&NewLine;&NewLine;&NewLine;<p>Serve&comma; piuttosto&comma; il coraggio della domanda&period; E la Grippo&comma; in un recente incontro a Corigliano Rossano&comma; ha posto interrogativi al Procuratore Gratteri &lpar;rischiando il linciaggio da una piazza piena di grillini e dal giornalista Peter Gomez&rpar; che toccano nervi scoperti del nostro tempo&colon; l’eccessiva spettacolarizzazione del potere giudiziario&comma; la coazione a ripetere formule retoriche sulla legalità&comma; l’equivoco di fondo tra &OpenCurlyDoubleQuote;notizia” e &OpenCurlyDoubleQuote;messaggio”&comma; tra giurisdizione e comunicazione&period;<&sol;p>&NewLine;&NewLine;&NewLine;&NewLine;<p>Non si tratta di minare la fiducia nelle istituzioni&comma; ma di difenderle con rigore intellettuale&period;<&sol;p>&NewLine;&NewLine;&NewLine;&NewLine;<p>La democrazia non si nutre di adorazione&comma; ma di critica&period; E l’autorità che non accetta il dubbio non è più autorevole&comma; è soltanto fragile&period;<&sol;p>&NewLine;&NewLine;&NewLine;&NewLine;<p>Nel dibattito di Corigliano-Rossano con esponenti della magistratura e dell’informazione&comma; si è alzato un velo&period; Un velo su ciò che spesso non si vuole dire&colon; che anche i magistrati possono sbagliare&comma; che le inchieste non sono dogmi&comma; che la stampa non è neutrale solo perché si proclama tale&period;<&sol;p>&NewLine;&NewLine;&NewLine;&NewLine;<p>È emersa una verità elementare ma potente&colon; non è sufficiente la legittimità formale per legittimare il potere morale&period; E&comma; soprattutto&comma; che le assoluzioni non possono essere liquidate come incidenti di percorso&comma; se nel frattempo sono state devastate reputazioni&comma; compromesse carriere&comma; umiliate vite&period;<&sol;p>&NewLine;&NewLine;&NewLine;&NewLine;<p>In Calabria conosciamo bene il peso delle inchieste&comma; ma anche la solitudine degli innocenti&period;<&sol;p>&NewLine;&NewLine;&NewLine;&NewLine;<p>Quando processi interi si svuotano in aula e ciò che resta è solo il clamore mediatico&comma; il cittadino si interroga non sulla colpevolezza&comma; ma sulla macchina&period; Su chi la guida&comma; su come la dirige&comma; su quanto sia permeabile al consenso o alla ribalta&period;<&sol;p>&NewLine;&NewLine;&NewLine;&NewLine;<p>Non possiamo più ignorare la delicatezza di certi ruoli&period;<&sol;p>&NewLine;&NewLine;&NewLine;&NewLine;<p>Un magistrato non è un conduttore televisivo&period; Un giornalista non è un apostolo&period; Un politico non è un manager della visibilità&period; La confusione dei ruoli è forse il sintomo più grave del tempo che viviamo&period;<&sol;p>&NewLine;&NewLine;&NewLine;&NewLine;<p>Oggi più che mai serve una nuova onestà del pensiero pubblico&comma; capace di distinguere tra il potere che giudica e quello che rappresenta&comma; tra la libertà d’informazione e la militanza editoriale&comma; tra il servizio alla giustizia e la narrazione giudiziaria&period;<&sol;p>&NewLine;&NewLine;&NewLine;&NewLine;<p>Difendere il diritto di porre domande scomode è un atto democratico&comma; non un attacco alle istituzioni&period;<&sol;p>&NewLine;&NewLine;&NewLine;&NewLine;<p>Ed è un dovere – prima che politico – morale&colon; verso i cittadini&comma; verso lo Stato&comma; verso quella verità che non sempre ha la forza delle prime pagine&comma; ma che alla lunga è l’unica che resta&period;<&sol;p>&NewLine;&NewLine;&NewLine;&NewLine;<p>In tempi di conformismo&comma; serve più che mai il valore dell’eresia civile&comma; quella che non cerca scontro ma cerca verità&comma; quella che non si inginocchia davanti al consenso ma si alza in piedi davanti alla complessità&period;<&sol;p>&NewLine;&NewLine;&NewLine;&NewLine;<p>Perché la giustizia&comma; se vuole essere credibile&comma; deve accettare il rischio della trasparenza&period; E l’informazione&comma; se vuole essere libera&comma; deve accettare il peso del dubbio&period;<&sol;p>&NewLine;&NewLine;&NewLine;&NewLine;<p>&ast;<em>Consigliere regionale<&sol;em><&sol;p>&NewLine;

Exit mobile version