Siamo ancora nella stagione dei diritti e dell’etica, o non siamo già passati definitivamente a quella della barbarie?
di Franco Cimino
Come sempre, ViViPress ospita le riflessioni di Franco Cimino, onorati di poter aggiungere questa autorevole firma tra le proposte ai nostri lettori. Tuttavia, soprattutto nel caso di questo suo profondo e sentito articolo, è utile chiarire cosa pensa ViViPress di questa drammatica vicenda per la quale, sin dall’inizio, abbiamo sostenuto e continuiamo a sostenere il popolo israeliano – il popolo israeliano, non l’attuale governo israeliano – abbiamo sempre sostenuto Israele e abbiamo sempre guardato con affetto a quell’isola di democrazia in un mare di regimi e narrazioni violente, distopiche, centrate sulla distruzione fisica e morale dell’avversario.
Certo, chi vuole bene a Israele ha il dovere di sottolineare il rischio che l’assenza strategica del governo Netanyahu si fonda con l’equiparazione ai regimi che ne vogliono la distruzione o addirittura ai terroristi. Obbligo degli amici è sempre quella di dire la verità – che non può morire a Gaza – ma Israele si salverà affidandosi a quegli anticorpi democratici che un primo ministro senza scrupoli al momento schiaccia sull’altare della propria sopravvivenza.
Ma, per essere realisti e non lasciarsi trascinare da reazioni emotive, una domanda – la principale – bisogna porsela Dov’è lo Stato palestinese che, ad esempio, il presidente francese Macron vorrebbe riconoscere?
La risposta brutale è: non esiste.
Quando nei cortei pro-pal qualcuno urla «from the river to the sea», cioè dal «fiume Giordano al mare», auspicando la cacciata degli israeliani, non sa di che cosa parla. Dal Giordano al mare esiste già uno Stato, uno solo ed è quello israeliano. I palestinesi vivono in enclavi che non hanno alcuna somiglianza con una realtà statuale. Non hanno sistema fiscale o libertà di movimento. Non controllano la loro acqua, l’elettricità, Internet. Non votano da 19 anni, perché – purtroppo e a differenza di quanto da sempre accade in Israele – non conoscono, non sanno cos’è la democrazia.
Ed, ancora: cos’è oggi Gaza?
La città e la sua costa sono sempre state ricche da molto prima di Cristo. È qui che i filistei (Palestina o Falestina significa «terra dei filistei») catturarono l’ebreo Sansone e, anche allora, andò malissimo per entrambi. Oggi i 300 mila abitanti del 1949 sono diventati 2,1 milioni. Dal 2005 sono stretti nella «più grande prigione a cielo aperto del mondo».
C’erano università, ospedali, fabbriche, ma sviluppo e libertà erano utopia anche prima del 7 ottobre. Non a caso è nato qui il terrorismo di Hamas e gli attentatori suicidi. Ora, dopo questi due anni di bombardamenti, Gaza è fatta di macerie, materiali e umane. Ci vorrebbero miliardi per ricostruirla e decenni per sanare le ferite di chi sopravvivrà. Gaza oggi è – purtroppo! – una zavorra umana, economica e politica per qualunque Stato.
E dal 7 ottobre è peggiorato tutto.
Macron, dall’alto del suo senso di superiorità storica e politica, si erge a paladino del riconoscimento di una stato della Palestina. Rappresentato da chi? Dai terroristi di Hamas? Che così ottengono un riconoscimento politico mentre sono i primi ad aver schiavizzato ed utilizzato barbaramente il popolo palestinese?
La «Francia libera» del generale De Gaulle non aveva territorio o esercito, ma aveva alleati e prestigio. L’amministrazione palestinese del presidente Abu Mazen è i l contrario. Ha un simulacro di forza che usa soprattutto per controllare gli stessi palestinesi, un territorio che perde pezzi, niente alleati. Non può dirsi democratica. Sconfitto alle elezioni del 2006 contro Hamas, non riconobbe il risultato e un anno dopo scoppiò la guerra civile.
Quale Palestina si può riconoscere? L’unica che esiste: forte, colorata, vivace è la Palestina nei pensieri dei palestinesi. Solo lì c’è. Oppure quella immaginata nei salotti radical chic dei pro-pal occidentali.
Poca consistenza e tanto sogno!
Ciò chiarito, ecco l’articolo – come sempre bello, intenso, partecipato – di Franco Cimino
Mentre l’uomo della “pace in ventiquattr’ore”, candidato al Nobel dall’uomo della guerra, gioca a golf nelle sue ricche ed esclusive proprietà in Scozia, il suo amico Netanyahu, l’uomo che lo vuole a quel Nobel, continua a gettare bombe sulle città già rase al suolo e sulle terre già distrutte e bruciate di Gaza. E sulle tendopoli, dove a decine di migliaia vi sono i palestinesi, i poveri rifugiati scampati ai bombardamenti. Mentre ministri autorevoli e leader politici e religiosi della destra più estrema israeliana, ripetono che la volontà di Israele resta quella di cancellare i palestinesi e il loro diritto alla costituzione di uno Stato libero autonomo, indipendente, auspicabilmente democratico e sovrano, sul territorio che storicamente gli appartiene, venti paesi d’Europa (si badi non l’Europa come istituzione unitaria), tra cui l’Italia, scoprono improvvisamente il massacro che si sta compiendo nell’insanguinata Striscia.
Scoprono che in questo massacro, quotidianamente vengono uccise cento persone inermi. Di cui almeno la metà sono bambini. E firmano un documento di indignazione, ipocrisia massima nei confronti di quella drammatica e disumana situazione. Si indignano, vergogna per loro, dopo venti mesi di assedio dell’esercito più potente del mondo, armato fino ai denti, anche con le armi fornite (ma chi le paga?) dagli americani e da molti paesi europei, tra cui l’Italia. Muovono le loro diplomazie, sempre educate e raffinate nei modi (sic!), dopo che organismi internazionali, e non più solo Hamas, hanno contato finora cinquantottomila morti. Ma è facile pensare che siano molti di più.
Quanti palestinesi dovranno ancora essere ammazzati per fermare la più orribile delle carneficine e per trasformare quella sterile indignazione in atti davvero concreti, che, partendo dalla netta condanna di Netanyahu (già accusato dalla Corte Penale di Strasburgo e dalla Corte Internazionale di Giustizia, con sede all’ONU, di crimini che vanno da quelli di guerra al genocidio), arrivi alla definitiva conferma del riconoscimento internazionale dello Stato Palestinese, nella terra già individuata dagli Accordi di Abramo del 13 agosto 2020?

Quanti altri morti di donne e bambini si dovranno contare per registrare questa falsa guerra in genocidio?
Ecco, genocidio, parola scandalosa. Noi l’abbiamo pronunciata e scritta più volte, e per primi, circa un anno fa. Parola, mai finora pronunciata da quegli stessi governi.
Il disegno più becero di sterminare quell’intero popolo si sta completando con l’uso dell’arma più brutale, la fame. Il denutrimento di uomini e donne. E di bambini, i più esposti all’arma micidiale.
Scorrono sui media e in rete, le foto di alcuni bambini ridotti pelle e ossa, cranio enorme rispetto a un corpicino piccolo ed esile. Tutto il mondo a commuoversi. Si piangerà per qualche giorno. I governi faranno dichiarazioni solenni, come quelle di ieri. Si prometteranno viveri che si faranno arrivare a destinazione, forse. E finalmente. Forse.
Forse si farà una tregua. Per pochi giorni. Forse. Giusto il tempo di far riposare le armi più che i soldati. Poi, di certo, si tornerà a bombardare. A uccidere massacrando. A distruggere quella terra bella adagiata sul mare bellissimo. L’unica accortezza che sarà usata, utilmente dai due uomini di “pace”, l’americano e l’israeliano, è quella di avvertirli un attimo prima con l’ordine di evacuare la Striscia. Tutti fuori i pochi che saranno rimasti in vita. Non importa dove andranno e chi li accoglierà come nuovi servi e schiavi. Importa che al posto dei missili arrivino i soldi dei ricchi americani, compreso il capo sempre più ricco della Nazione, per trasformare la terra dei palestinesi in una ridente riviera per straricchi capitalisti, che la utilizzeranno per le proprie dorate vacanze e per nuovi affari.
Tutto questo, sarà ancora chiamato l’atto legittimo, autorizzato e riconosciuto, dello Stato di Israele per vendicare la morte di mille coloni e il sequestro orribile di trecento israeliani, consumato dai feroci terroristi di Hamas nella tragica notte delle più crudeli violenze del 13 ottobre di venti mesi fa?
E, ripeto, se la vita di un israeliano ne vale mille di quella dei palestinesi, siamo ancora nella stagione dei diritti e dell’etica, o non siamo già passati definitivamente a quella della barbarie?