La memoria è un atto di giustizia. È la voce di chi non può più parlare. Ricordare non è un gesto formale. È un atto d’amore, di verità e di resistenza
Sono passati due anni, ma il cuore continua a farsi pesante ogni volta che il calendario segna il 7 ottobre, che non è solo una data: è una ferita che non smette di sanguinare, un ricordo che brucia dentro. Due anni sono passati da quel terribile 7 ottobre, quando l’alba si è tinta di sangue e orrore per mano di un attacco terroristico senza precedenti. Hamas ha colpito con una violenza cieca, devastando vite innocenti, spezzando famiglie, seminando paura e dolore nel cuore di Israele e del mondo intero.
Quel giorno, il silenzio della pace è stato frantumato dal grido delle vittime, dal terrore dei sequestrati, dalle immagini di una barbarie che pensavamo appartenere al passato.
È impossibile dimenticare. C’erano bambini che ridevano, famiglie riunite, giovani a una festa di pace e libertà. E poi, d’un tratto, l’inimmaginabile. L’oscurità. La violenza che non distingue, che non perdona, che distrugge tutto ciò che trova sul suo cammino.
Da allora, nulla è più stato lo stesso. È impossibile accettare che tanta ferocia si sia abbattuta su civili, bambini, donne, anziani, su persone che avevano il solo torto di vivere la loro quotidianità.
Oggi, due anni dopo, la ferita è ancora aperta. Ma accanto al dolore, cresce un impegno: quello di non permettere che la memoria si dissolva nell’indifferenza. Ricordare il 7 ottobre significa non soltanto onorare le vittime, ma anche ribadire con forza che la violenza e il terrorismo non potranno mai essere giustificati né normalizzati.
Significa stringersi in un abbraccio ideale con chi ha perso tutto, con chi ancora attende un ritorno, con chi vive ogni giorno con l’assenza di un volto amato.
La memoria è un atto di giustizia. È la voce di chi non può più parlare. Ricordare non è un gesto formale. È un atto d’amore, di verità e di resistenza. È dire, con la voce rotta ma ferma: vi vediamo, vi ricordiamo, siamo con voi.
Contro l’odio che divide, contro il fanatismo che disumanizza, contro la tentazione di dimenticare perché fa troppo male ricordare.
E oggi ricordiamo, piangiamo e ci impegniamo.
Perché la pace non nasce dall’oblio, ma dal coraggio della memoria e dalla solidarietà che unisce, oltre ogni confine, contro ogni forma di disumanità.
Il dolore di quella giornata non appartiene solo a un popolo: appartiene a tutti noi, a chiunque creda nella vita, nella libertà, nella dignità umana.
E finché continueremo a ricordare, il male non avrà mai l’ultima parola.