Da liberali e conservatori nel senso europeo del termine, è impossibile restare inerti. Serve una alleanza democratico-liberale
di Maurizio Bonanno
C’è un momento, nella storia delle democrazie, in cui la lucidità smette di essere una virtù teorica e diventa un dovere morale. L’Europa vive esattamente quel momento. Da tempo alcuni osservatori denunciano ciò che molti non hanno voluto vedere; ora, dopo l’ennesima dimostrazione di forza di Vladimir Putin, non esiste più alcuna scusa per l’indifferenza o per l’autoinganno. È tempo che giornalisti, intellettuali, comici, influencer e soprattutto la classe politica abbandonino la zona grigia e assumano il peso della verità: la minaccia alla società aperta è reale, è presente e cresce ogni giorno.
Chi continua a evocare fantasiose “soluzioni negoziali” sul conflitto ucraino dovrebbe ormai aver compreso ciò che è evidente: né gli Stati Uniti né la Russia stanno cercando una pace stabile. Entrambi perseguono, con modalità diverse, un disegno di potenza. Washington, attraverso la dottrina dell’“America First” tornata centrale nella politica repubblicana, pretende mano libera nel proprio emisfero, premiando o punendo governi a prescindere dalla loro qualità democratica. Mosca, specularmente, mira a re-istituire il proprio spazio imperiale sull’ex area sovietica, un progetto che non si fermerà a Kyiv qualora l’Ucraina venisse piegata militarmente.
È un ritorno all’Ottocento, aggravato da arsenali del XXI secolo.
Nel frattempo, Donald Trump lavora — apertamente — alla costruzione di un sistema di potere che presenta tratti inquietanti di autoritarismo plebiscitario. Il suo disprezzo per i limiti costituzionali, l’uso sistematico della menzogna politica, l’idea di un “terzo mandato” da ottenere forzando emergenze interne o internazionali: tutto questo non è una caricatura, è un progetto. Non è necessario essere progressisti per capirlo; basta essere conservatori nel senso più autentico: avere a cuore la continuità delle istituzioni e la separazione dei poteri.
Dall’altra parte, Putin ha ormai trasformato la Russia in un’economia bellica permanente. Non è più un regime autoritario mascherato da oligarchia capitalista: è una potenza militare che vive per la guerra e nella guerra. Finché lui resterà al Cremlino, questa struttura non sarà smantellata. E se l’Ucraina dovesse crollare, i Paesi baltici — membri della NATO e dell’Unione Europea — diventerebbero inevitabilmente il prossimo obiettivo.
Per l’Europa è l’ultima chiamata. Se vuole rimanere un polo democratico capace di competere politicamente ed economicamente con Stati Uniti e Cina, deve assumersi responsabilità che ha rimandato per decenni. Senza difesa comune, senza riarmo intelligente, senza un ruolo geopolitico autonomo, l’UE non sopravviverà come progetto di libertà. Non si tratta di militarismo: si tratta di realismo liberale, quello che rifiuta il pacifismo disinformato perché sa che la pace senza deterrenza è solo una tregua concessa dal più forte.
L’Italia, dentro questa cornice, è il punto più esposto. Il governo attuale contiene una doppia anima: una filotrumpiana, che sembrerebbe maggioritaria in Fratelli d’Italia, e una filoputiniana nella Lega. In mezzo Giorgia Meloni che deve fare fronte alla tentazione, che pure serpeggia, di allinearsi a un’America trumpiana rispetto all’ancoraggio europeo.
L’opposizione, a sua volta, è prigioniera di divisioni paralizzanti: una maggioranza pacifista-nazionalista che non comprende la portata della minaccia e una minoranza filorussa, prevalentemente pentastellata ma non solo, che, pur numericamente non significativa, risulta decisiva nel condizionare le posizioni più responsabili. Il risultato è un vuoto politico che favorisce i progetti della destra sovranista.
Da liberali, conservatori nel senso europeo del termine — difesa delle istituzioni, dello Stato di diritto, del mercato regolato, della responsabilità nazionale — è impossibile restare inerti. Serve una alleanza democratico-liberale che si presenti alle elezioni con un programma chiaro: rafforzamento del riarmo nazionale in coordinamento con un vero esercito europeo; difesa piena e non negoziabile della società aperta e dei diritti civili; impegno per un’economia sociale di mercato che non lasci spazio ai monopoli pubblici russi né ai capitalismo-clientelari americani; una linea estera atlantica, sì, ma non subalterna e soprattutto non dipendente da eventuali svolte autoritarie negli Stati Uniti.
Non è più il tempo dei memorandum o dei generici appelli alla responsabilità. L’ora chiama a una decisione di campo: l’Europa deve scegliere se essere una potenza politica o una periferia di qualcun altro.
E l’Italia deve scegliere se essere europea o sovranista.
Il resto è rumore.










