Il caso dell’UDC, trattato come un’anomalia, forse rappresenta il sintomo di una coalizione che non riesce più a tenere insieme posizioni, sensibilità e interessi diversi
La lunga nota diffusa dai responsabili provinciali di Lega (Valentina Marta), Forza Italia (Michele Comito), Fratelli d’Italia (Pasquale La Gamba) e Noi Moderati (Nicola Brosio), più che chiarire, finisce per certificare lo stato di profonda crisi del centrodestra vibonese. Un documento che prova a rivendicare coerenza politica, ma che lascia emergere, tra le righe, l’incapacità della coalizione di incidere realmente sulle dinamiche istituzionali e, soprattutto, di parlare con una sola voce.
La scelta di non presentare liste alle elezioni provinciali viene giustificata come atto di protesta contro la legge Delrio, definita distorta e antidemocratica. Una posizione nota, ribadita da anni, ma che ormai appare più come un alibi che come una strategia. Rinunciare sistematicamente alla competizione, infatti, non ha prodotto alcun avanzamento sul piano delle riforme, né ha rafforzato il peso politico del centrodestra sui territori. Al contrario, ha contribuito a marginalizzarlo, lasciando campo libero ad altri e riducendo la protesta a un gesto simbolico, privo di effetti concreti.
Ancora più evidente è la contraddizione tra la proclamata “scelta collegiale” e la realtà dei fatti. Se davvero non esistevano vincoli per i singoli amministratori, allora è difficile sostenere che la partecipazione al voto di alcuni esponenti possa essere letta come un tradimento o come un comportamento ambiguo. La verità è che la coalizione non è più in grado di esercitare una reale funzione di coordinamento politico, e il richiamo all’“individualismo” suona più come una resa dei conti interna che come una riflessione seria sullo stato del centrodestra.
Il caso dell’UDC e del suo segretario provinciale, Stefano Luciano, viene trattato come un’anomalia, ma forse rappresenta semplicemente il sintomo di una coalizione che non riesce più a tenere insieme posizioni, sensibilità e interessi diversi. Parlare di “ripercussioni future” appare quasi paradossale, quando il presente racconta già di un centrodestra frammentato, privo di una linea politica riconoscibile e incapace di trasformare le divergenze in confronto costruttivo.
Anche il tentativo di ridimensionare l’elezione di Franco Barbalace, definito consigliere indipendente e quindi non rivendicabile politicamente, rafforza l’impressione di una coalizione più impegnata a sminuire gli altri che a interrogarsi sulle proprie responsabilità. Se ogni risultato viene negato o attribuito ad altri, e ogni insuccesso giustificato con ragioni di principio, diventa difficile parlare di una forza politica credibile e pronta a governare.
La dichiarazione finale sulla volontà di mantenere una linea “coerente e unitaria” suona, a questo punto, più come un auspicio che come una realtà. Il centrodestra vibonese appare oggi al capolinea di un percorso fatto di proteste ripetute, scelte difensive e continue tensioni interne. Senza un serio ripensamento delle proprie strategie e senza la capacità di misurarsi davvero con il consenso e con le istituzioni, il rischio è che la coalizione resti prigioniera di una narrazione autoreferenziale, sempre più distante dai territori e dai cittadini che dice di voler rappresentare.










