Riflessioni sulle pagine del Vangelo di domenica 5 febbraio
di Mons. Giuseppe Fiorillo
Carissime/i,
domenica scorsa (Mt.5,1-12) Gesù ci ha dato le Beatitudini “le parole più alte della storia dell’umanità” (Ghandi), oggi , attraverso questo brano (Mt.5,13-16), ci consegna degli insegnamenti per ben vivere il suo messaggio: rimanere, cioè, umani in tempi disumani.
“Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.
Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, così fa luce a tutti quelli che sono in casa.
Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli”(Mt.5,13-16).
Con questa pericope, che segue le Beatitudini, Gesù ci dà tre immagini: il sale della terra, la luce del mondo, la città sul monte.
Il sale della terra.
Il sale, al tempo di Gesù, aveva molte funzioni. La prima era quella di dare gusto e sapore ai cibi. La seconda era quella di conservare le derrate alimentari: preservare i cibi dalla corruzione e mantenerli nel tempo, quando ancora non esistevano frigoriferi e congelatori. Altra funzione era considerare il sale elemento essenziale di consacrazione delle offerte, presentate a Dio: “dovrai salare ogni tua offerta, non lasciate mancare il sale dell’alleanza del tuo Dio; sopra ogni tua offerta porrai del sale (Levitico2,13).
Essere oggi sale della terra significa dare sapore e gusto alla società in cui viviamo; rendere migliore il nostro ambiente con le nostre opere; portare un messaggio di speranza ad un mondo ammorbato da guerre, violenze, scandali, corruzioni, violenze.
La luce del mondo.
In tempi, in cui non si conosceva la luce elettrica, la vita delle famiglie si svolgeva alla luce delle lucerne ad olio. Nei villaggi della Palestina, a sera, la luce, che tremolava nelle case, era segno di vita.
Gesù prende questa immagine per presentare sé stesso: “io sono la luce del mondo chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv. 8,12).
Anche noi, oggi, pur se piccole e deboli lampade, siamo chiamati a portare luce…una parola di conforto al disperato, un pane da spezzare con l’affamato, un sorso di acqua da bere con l’assetto, una mano tesa a chi è caduto lungo i bordi della strada.
“Voi siete la luce del mondo” – ci dice Gesù – ma noi spesso questa luce la mettiamo sotto il “moggio” (il moggio era un recipiente di legno o di metallo di circa otto litri e serviva per misurare o trasportare i cereali).
La città sul monte.
All’immagine della luce è abbinata l’immagine della città collocata sul monte.
Quando Gesù parlava aveva dinanzi a sé, giù lo specchio dorato del lago di Genezareth e, più lontano, in alto, a 1100 metri sul livello dello stesso lago, la visione della cittadina di Safid.
Dalla valle e, da tutta la Galilea, era ben in vista questa città. Così è del discepolo delle Beatitudini!
Siamo in tempi di mescolanza di culture, di religioni, di storie, ma, pur nel pieno dialogo, non possiamo rinunciare alla nostra identità. Il vero dialogo non mette sotto il “moggio” la propria identità, ma la confronta con gli altri compagni di viaggio nella verità per trovare ciò che unisce ed allontanare ciò che divide.
Buona domenica con questa pillola di antica saggezza: una candela accesa può accenderne altre mille, ma mille candele spente non ne potranno accendere nemmeno una.
Don Giuseppe Fiorillo