“Educarsi alla disabilità” sarà domani 3 dicembre alla ore 17 alla Biblioteca Comunale del centro siciliano dove sarà presentato il software riabilitativo LULA
di Rosario Rito*
Continua il successo del libro scritto da Rosario Rito “Educarsi alla disabilità”, che adesso supera i confini regionale e sbarca ad Avola quale protagonista dell’iniziativa realizzata con il patrocinio del Comune siciliano e le associazioni AVO e Insieme per l’Autismo nell’ambito dell’International Day of Persons with Disabilities.
Il programma prevede la presentazione di LULA, software riabilitativo per bambini autistici e con disturbi relazionali e deficit della comunicazione e l’inaugurazione dello Scaffale Inclusione “Leggere insieme”.
Quello che segue è il testo dell’intervento che Rosario Rito terrà domani pomeriggio 3 dicembre ad Avola.
Il saper o poter distinguere l’Immagine dalla Realtà del soggetto ‘Persona’, occorre prima di tutto capire come sia venuta al mondo, le sue funzioni, responsabilità, ambizioni e via discorrendo.
Innanzitutto va detto che ogni persona, come per gli animali, nasce o viene al mondo da un altro suo simile. Realtà questa che vale anche per le piante e fiori o l’erba, pur se spesso si tratta di un fatto spontaneo, causato da atti meteorologici e non perché desiderati o cause accidentali come per i primi due. Il mondo animale e dell’umano, oltre ad aver dei tempi ben stabiliti e nonostante avessero e hanno bisogno di assistenza medica e quant’altro, non sempre il nascituro viene al mondo come si desidera o preferirebbe che fosse. A tal riguardo, il considerarlo non perfettamente sano perché in esso ci sono delle patologie che possono disturbare delle proprie agilità motorie, linguistiche o visivi, è la peggiore degradazione morale che possiamo nutrire nei suoi confronti.
Tutti nasciamo sani, tranne quegli sfortunati neonati che per cause ben specifiche, nascono senza un braccio, una gamba, un occhio, una mano. In semplici parole con un qualcosa palesemente visibile del proprio corpo che però manca.
Ho voluto partire da come una persona viene al mondo, perché credo che questo sia l’unico modo che ci possa aiutare a saper distinguere il termine ‘Uguaglianza’ da quello di ‘Similitudine’, non solo perché come il primo appartiene al visivo e il secondo al sensitivo, ma principalmente per costatare se le sinonimie che noi usiamo su determinati soggetti, cioè, ‘Persone’, siano effettivamente reali o appartengano a una chiusura fornitaci da un apparente che nulla ha in comune con il reale.
Si certo, come la vista serve per vedere, osservare e distinguere ogni cosa che ci circonda e l’intelletto per darle un senso, sotto l’aspetto della persona, non è esattamente così, anche perché ciò che noi vediamo o immaginiamo e diamo per scontato con il visivo, è solo l’immagine corporea che, come si dice in gergo può essere bella brutta, alta, bassa, magra, robusta e cosi via. Ciò che una persona ha o possiede, sono semplicemente delle proprie caratteristiche. Caratteristiche che grazie alla sua presenza visiva e reale, dinanzi a me, posso identificarla, chiamarla per nome e non confonderla con altre. Se questo è vero, è sufficiente per distinguere una persona da altre? È sufficiente vedere come cammina, se parla con un linguaggio perfettamente chiaro o se possiede una vista buona per giudicarla normale, sana come si suol dire, o vi è un qualcosa che ci sfugge e che va a di là del mio o nostro visivo?
Domanda assolutamente inutile e insensata, anche perché, ciò che noi vediamo, è sempre vero, autentico, tangibile. Solo uno sciocco o fuori di testa, direbbe che il sole e nero e il cielo è bianco o il mare è roccioso e la montagna liscia. È ovvio che quando vediamo una persona di età avanzata, la definiamo e diciamo che è anziana e un giovane in carrozzella o non vedente come disabile, perché si vede, si tocca con mano il loro stato d’essere. I loro bisogni pratici e le difficoltà nell’autogestirsi, sono, davanti ai nostri occhi e non accorgersene, sarebbe veramente da stupidi e incoscienti.
Se la radicalizzazione dell’essere persone normali sta nel possedere una minima autosufficienza, almeno nei bisogni o nelle esigenze personali, come possiamo sostenere o affermare che una persona disabile sia uguale alle altre? Ciò significa che se normalità vuol dire ‘Autosufficienza’, la disabilità, come la toglie, fa della persona un succube del proprio essere indipendente della volontà altrui, oltre che un servitore del suo soffrire. A tal proposito, ho sentito dire che la persona disabile, vive a metà. Ciò significa che io ho trentuno anni e mezzo e non sessantatré. Scusatemi. Non me n’ero accorto.
Noi ci differenziamo dagli oggetti perché siamo stati generati, non creati come sottolineato all’inizio e a differenza di essi, possediamo sentimenti, sensazioni, curiamo delle passioni o interessi per realizzare i nostri sogni ed i progetti per realizzarci come persone. Ciò significa che l’essere normale del soggetto persona, non si basa sull’altezza bassezza, modo di parlare, di camminare, dover essere magra o grassa e via dicendo. Prima d’ogni cosa l’immagine che possa rappresentare ai nostri occhi è espressione di pensiero, fonte di sentimento, forza emotiva di credere in se stessa, che sono le radici del proprio sentirsi viva e partecipe al suo essere eterogenea e non speciale come tante volte si vuol far credere. Anzi, in alcuni casi, serve proprio per nascondere la nostra indifferenza verso le sensazioni o sofferenze altrui.
Anche se nessuno può negare che c’è molta differenza tra praticità e spiritualità, sta di fatto, che il possedere meno agilità negli arti, degli occhi non vedenti o essere seduti su un trono a rotelle, non è sinonimo di ‘Handicappato’, come cerebroleso non è ‘Incoscienza di un proprio sé’. Anzi: se la cerebrolesi c’impedisce di prendere coscienza di un proprio Io e con ciò, d’esistere: l’incoscienza del sé ci conduce all’omicidio della propria ragazza, compagna o non accettazione della separazione dalla moglie, oltre che a usare violenza sugli anziani, disabili e bambini di tenerissima età. Perciò, come l’handicap sensoriale o cerebrale è molto meno dannosa e grave dall’incoscienza di un proprio sé, in egual misura, come persona si nasce, limiti si possiedono.
Certamente, ognuno di noi possiede tanti limiti e molti di questi, oltre a essere invisibili, sono inaccettabili. Quelli che possono creare attimi di disagio o turbamento emotivo, sono certamente quelle visive, come ad esempio, accendere un accendino con due mani, bersi un caffè con la cannuccia, appoggiarsi un telefonino su una coscia per far un numero o rispondere a una chiamata e molto altro. Fermo restando che queste particolarità di autogestione sul proprio fare, dipendono soprattutto da tipo o modo di possibilità del come poter autogestirsi per compiere una specifica azione o funzione, va anche detto che come una personale limitazione fisica o pratica soggettiva, il bisogno non dovrebbe o non va confuso con la necessità.
Quando io vado con un amico o amica a prendere un caffè al bar, diciamo sempre che uno deve essere messo o fatto in un bicchiere un po’ alto. Quello che di solito si usa per i liquori in genere, anche se per un caffè in vetro, c’è il bicchiere apposito. Il bicchiere alto, è dovuto al fatto che a causa della mia diversa agilità della mano destra, non posso impugnare correttamente il manichino della tazzina del caffè, sono costretto a usufruire di una cannuccia. Cosa questa che mi occorre per ogni tipo di bevanda.
A questo punto o in questo caso specifico, qual è la differenza tra bisogno e necessità?
Semplicemente che se anche il metodo di potersi bere un caffè cambia, il bisogno dello stesso, è identico a una qualsiasi altra persona. Io o una persona con le mie stesse difficoltà, non abbiamo bisogno della cannuccia per bere qualcosa o dissetarci, ma ci necessita la cannuccia per appagare quel nostro specifico bisogno che hanno o provano tutte le persone del mondo in modo tranquillo, senza la paura o timore di macchiarci.
Questo piccolo esempio, ci conduce spontaneamente a riflettere su due termini molto importanti e nello stesso tempo, differenti tra loro, anche perché, il primo è oggettivo o meglio, rende reale la diversificazione che esiste tra normalità del fare e il poter raggiungere o risolvere una specifica difficoltà, il secondo, oltre a essere soggettivo, nasconde in sé ciò che il visivo non percepisce o devia nella sua identità. Questi due termini sono ‘Disuguaglianza’ e ‘Similitudine’.
Come esiste una differenza oggettiva nel fare, nel parlare, camminare o muoversi perché quest’ultimo, avviene principalmente tramite mezzi di transito, come lo è una semplice carrozzina, vi è anche nel corpo, in un proprio intelletto, un’anima che permette ognuno di noi di provare e agire seconda una propria destrezza o possibilità del poter raggiungere o soddisfare i propri bisogni o necessità. Quindi, ogni persona è un qualcosa di autentico, originale e irripetibile, sia nel suo aspetto e sia attraverso il suo fare o compiere un qualcosa.
Certo, si parla tanto di uguaglianza, ma questo termine tante volte ci conduce a confondere, l’Immagine con la Realtà dell’essere persona. Attenzione. Non lo stato reale della persona, perché questo appartiene al proprio apparente, (figura fisica), ma quella autentica o meglio, che si nasconde dietro il visivo. Quel visivo che nella sua opacità, non sa oltrepassare quell’apparente che oltre a impedirci di comprendere che come siamo disuguali nel corpo, nel pensare e agire o fare le cose, – a ognuno la propria destrezza – nessuno di noi è un dissimile a una qualsiasi altra persona.
Per verificare se ciò sia vero, è sufficiente prendere tre bicchieri diversi uno dall’altro e uno di plastica. Io ho davanti tre bicchieri diversi un dall’altro, – dell’acqua (semplice), dello champagne o spumante (con gambo fino e pianta larga), dell’amaro (lungo e stretto). La loro differenza si vede a occhio nudo. La stessa cosa succede su due bicchieri di plastica di colore differente e grandezza diversa. Come nella forma, nel colore e nel materiale, sia il bicchiere di carta e sia quello di vetro, possiedono una cosa in comune, anche se in modo diverso. Se io stringo un po’ di più del necessario il bicchiere di plastica, oltre a diventare inutilizzabile, rischio di romperlo o bucarlo. Cosa che non succede con quello di vetro, non solo perché devo metterci forza, ma anche per il fatto che per rompersi, dovrebbe essere fragile, scivolarmi dalle mani e cadere per terra o su un qualcosa di duro.
Questo esempio sulla fragilità diversa dei due bicchieri, ci può aiutare a capire meglio, cosa s’intende per disuguaglianza e ciò che significa parità di genere. La disuguaglianza sta nel formato, colore, materiale, ma il loro significato o motivo di essere e portare con sé una propria utilità, consiste che ognuno dei bicchieri, servono a dissetarci e con ciò, placare in una nostra necessità esistenziale. Non importa se un bicchiere sia di carta o di vetro, grande o piccolo, largo, stretto, perché la sua utilità e sempre la stessa: quella di poterci dissetare o sorseggiare qualcosa. Disuguali nell’immagine ma paritari nella loro utilità.
La stessa identica cosa la riscontriamo nell’essere persona, solo che al posto del termine ‘Utilità’, vi è quello di ‘Similitudine’, poiché, come agli oggetti possiamo dargli un valore o importanza, attraverso la soddisfazione di un qualche nostro bisogno, per il soggetto umano è l’opposto. Un con l’altro, non siamo utili per ciò che possiamo dare o soddisfare vicendevolmente in senso oggettivo o pratico, ma simili per quel che ci accomuna con gli altri.
Il termine ‘Simile’, com’è molto diverso da ‘Uguale’ è anche delicato e profondo nel suo significato, poiché se l’uguaglianza si dà a due o più cose identiche, senza dei piccoli particolari differenti – nel e attraverso il visivo – la similitudine fa parte di un particolare nascosto; difficile o quasi impossibile da vedere a occhio nudo. Oltre a volerci attenzione per scoprirla, occorre principalmente capire il perché si può essere simili pur non essendo uguali nell’immagine, nel fare, poter liberamente camminare con le proprie gambe o vedere con i propri occhi.
Fin da piccolissimi, noi abbiamo tre desideri per la nostra vita: imparare, diventare grandi e realizzarsi come persone. Tre principi che non si racchiudono solo nel mondo invisibile del nostro desiderare, ma si ampliano e approdano nell’emisfero delle delusioni, debolezze, sofferenze e timore di non farcela. Ciò significa che se anche si può essere perfettamente abili nel corpo, all’interno dello stesso si possono nutrire turbolenze e timori nel poter o saper realizzare ciò che desideriamo o vogliamo divenire per essere alla pari degli altri.
Ognuno appartiene a un se stesso, non alla logica del fare per poter raggiungere. Il mangiare con la mano destra o sinistra, non a niente in comune con il saper avvicinare in modo corretto il cibo alla bocca. La stessa cosa vale per lo scrivere, il potersi muovere liberamente e cosi via.
Su questo ne abbiamo parlato abbastanza e credo che non vi sia altro da aggiungere. Ora cerchiamo di capire ciò che veramente siamo, perché solo con la riflessione su noi stessi, possiamo verificare se esiste in noi un qualcosa che ci lega agli altri, non come fratelli, sorelle, amici, ma semplicemente come persone comuni.
Ogni persona, prima d’essere magra o grassa, bella o brutta intelligente o ignorante e via discorrendo, è fonte di pensiero, sensazione, paure, speranze, progetti e conquiste. Fonte di sentimenti pro e contro il proprio sentire e provare, che nascono dal sentimento principale che prende il nome di ‘Sensibilità’. È ricerca del senso del proprio Sé, non apparenza di un io ammalato, handicappato, disabile o diversamente abile.
Ciò significa che – finché ci soffermeremo al visivo o, per essere più precisi, all’apparenza oggettiva di un corpo e delle sue difficoltà o limitazioni, come diventerà sempre più difficile distaccarsi dalle sinonimologie nei confronti delle persone con realtà differenti da uno status comune – non saremo in grado di saper distinguere una ‘Diversità’ da una ‘Similitudine’, o una ‘Dissimilitudine’ dalla ‘Uguaglianza’, restando incapaci di prendere effettiva consapevolezza che come persone si nasce e i limiti si possiedono.
Siamo tutti fonte di sensazioni e sentimenti, prima di essere figura scontata o immagine di un vissuto, sicuramente diverso, ma non dissimile da chi chiede solo di poter essere per non apparire.
*Scrittore e poeta