Riflessioni guardando il tragicomico teatrino di una politica impantanata, non in grado di gestire il compito al quale era chiamata per ruolo e funzione
di Maurizio Bonanno
La rielezione di Sergio Mattarella sul colle del Quirinale rappresenta un passaggio che racchiude una serie di significati e mostrano il vero volto della politica in Italia.
Innanzitutto, appare come la vittoria di un’area moderata che, comprendendo il pericolo che stava incombendo, si sono compattati respingendo il ritorno di una deriva populista-sovranista che avrebbe potuto portare l’Italia in una forma di repubblica di stile sudamericano.
Quanto è accaduto, è la conferma di un antico refrain – il primo amore non si scorda mai – e la scoperta di un fenomeno politico, quello che aveva per un attimo impantanato il Paese e che qualcuno immaginava fosse stato superato. Ovvero, quella fase populista-sovranista che aveva consentito la costituzione del primo governo Conte, cosiddetto gialloverde, e che sembrava superata, ma in realtà continuava ad alimentarsi sottotraccia pronto a ricomparire all’improvviso allorquando Lega e M5S (area Conte, ma non Di Maio), ricomponendo l’antica alleanza (con una sorta di silenzio-assenso di FdI) lanciavano la proposta – affascinante perché di genere, accattivante perché segnava lo storico arrivo di una donna nella poltrona più alta – non di una donna qualunque, ma nientedimeno che il capo dei servizi segreti, la stimatissima (e temuta?) Elisabetta Belloni.
Nulla da eccepire sul fatto che finalmente trionfasse una donna, nulla da eccepire che venisse eletta una personalità di grande valore ed ancor più grande prestigio anche internazionale, ma… in una repubblica democratica europea di impostazione occidentale e liberale, l’elezione del capo dei servizi segreti alla più alta carica dello Stato che finora, per mandato istituzionale, ne stava curando la sicurezza custodendone i segreti più segreti, che significato poteva avere? E poi, con l’indicazione di un’area politica così ben precisa ed identificabile?
Sono usanze da repubbliche sudamericane, oppure… A memoria, mi pare di ricordare che al momento esista un istruttivo precedente: Putin in Russia.
Ecco, allora che dinanzi al rischio di risvegliarsi in un’Italia diversa, l’area moderata ha avuto un sussulto d’orgoglio e, facendo proprie le parole di Matteo Renzi (l’unico a denunciare senza giri di parole il rischio che si correva), ha fatto muro mostrando però i limiti di una politica che ormai da anni brancola nel buio di un’assenza di leadership per mancanza di personalità e di competenza politica.
Ed ecco, a questo punto subentrare quello che ancora una volta si è dimostrato essere il “tutore” di questa politica monca, incompiuta, frammentaria: Mario Draghi.
È toccato a lui, ancora una volta sostituirsi al ruolo che invece spettava ai leader di partito. È stato lui a riprendere in mano la situazione, avvicinare Sergio Mattarella, spiegargli, ove mai fosse stato necessario, la situazione di impasse, confermargli il rischio di un golpe populista-sovranista e strappare quindi la necessaria disponibilità ad essere rieletto e rimanere in quel ruolo di Capo dello Stato, incarico che lui invece aveva ritenuto giunto alla sua naturale, ovvia conclusione.
L’atto di autonomia politica assunto oggi da Draghi racchiude quindi un valore importante, perché si attesta da questo momento non solo come un uomo delle Istituzioni chiamato al capezzale del Paese, ma adesso anche come una figura politica in grado di prendere in mano i partiti della sua coalizione ed accompagnarli a fare quel passo necessario che altrimenti da soli non riuscivano a fare.
Dunque, al di là delle parole di circostanza che i capipartito (chiamarli ancora leader appare pleonastico) sciorineranno per spiegare ai cittadini, che immaginano sprovveduti (?), che tutti hanno vinto e tutti hanno ragione, la verità è che questa rielezione mostra scenari solo apparentemente confermati, ma in realtà rinnovati secondo un copione diverso: stop al blitz populista-sovranista, ritorno ad un protagonismo di un’area centro-moderata (centristi, parte di Forza Italia, Italia Viva e parte del PD e – chissà – qualche pentastellato), ma soprattutto un ruolo di più forte connotazione politica del premier Draghi.
Questa sarà l’Italia di domani.