Il periodo pandemico avrebbe potuto rappresentare una possibilità di rinnovamento scolastico
di Alberto Capria*
La quotidianità scolastica, sconvolta dalla pandemia, avrebbe utilmente potuto innescare una discussione sul nostro sistema d’istruzione.
Mentre le modalità tradizionali di fare lezione venivano smontate (e spesso, purtroppo, rimontate esattamente come prima), la possibilità di “sfruttare” il periodo pandemico per un rinnovamento scolastico non più differibile, non è stata neanche presa in considerazione.
Poteva essere un’opportunità di riflessione su spazi e ambienti, percorsi universitari propedeutici al reclutamento al di là delle “crocette” si o no, formazione, clima relazionale. Il tutto si è affrontato all’inizio con il fideistico (e doveroso) “andrà tutto bene”, subito dopo soltanto come emergenza logistica, pur necessaria: spazi da trovare, banchi fissi o mobili, pareti da issare o abbattere, organici da implementare. Si è persa così l’ennesima occasione per ragionare di una scuola nuova negli spazi, nei tempi e nella didattica.
I nostri allievi trascorrono il loro tempo in ambienti costituiti da corridoi e aule che non cambieranno con il PNRR, considerando il mancato coinvolgimento delle scuole nella programmazione degli interventi di edilizia scolastica. Di fatto limitano l’esperienza formativa all’edificio scolastico, non cogliendo appieno le potenzialità di estendere i confini formativi oltre lo spazio fisico della scuola; di identificare come spazi e ambienti di apprendimento tutti i luoghi che consentono di fare esperienza, di capitalizzare le conoscenze in competenze, di creare legami tra scuola e società interagendo con il territorio.
E’ giunto il momento di sostituire al tempo scuola il “tempo dell’apprendimento”, smettendola, definitivamente, di preoccuparsi delle valutazioni standardizzate – siano esse nazionali o internazionali; di superare l’appiattimento dell’orario disciplinare e delle “ore” della giornata scolastica, in alcuni casi inspiegabilmente “piena o lunga” pur in assenza di idonei ambienti (teatri, palestre, laboratori, biblioteche, spazi attrezzati e liberi) fondamentali per prolungare la permanenza a scuola.
È tempo di correggere sterili condotte passatiste fatte di lezioni noiose, decine e decine di insensate verifiche e medievali interrogazioni!
Diventa palmare “liberare gli orari”, uscire dall’ossessione delle “mie ore nella mia classe”, del trillo che sancisce il termine dell’ora di lezione di quella disciplina; dando respiro, finalmente, ad una autonomia scolastica – largamente inesplorata – nella quale ci siano tempi ampi per dare sostanza al rapporto insegnamento/ apprendimento.
In didattica, reclutamento, ruolo e funzione dei Dirigenti e dei Docenti vanno ridisegnati. I Dirigenti scolastici devono con forza riprendere il loro prioritario ruolo di leader educativi, liberati da “inutili orpelli burocratici quotidiani”.
I Docenti non elargiscano sapienza: siano piuttosto esperti – accuratamente selezionati, adeguatamente retribuiti – che ascoltano e stimolano il pensiero degli studenti, valorizzandone insieme inclinazioni e potenzialità, limitando anacronistici compiti per casa e proponendo approcci adatti alle intelligenze multiple di Gardneriana memoria.
Docenti che diano un orizzonte di senso agli allievi, creando spazi quotidiani ad esperienze formali, informali e non formali, spesso relegate ai margini della vita scolastica; che mandino una volta per tutte “al macero” programmi e … indici dei libri di testo.
Non è impossibile: basterebbe avere un’idea di scuola, dandole però il tempo per dispiegarsi. Evitando cicliche, inutili riforme: sempre annunciate come … svolte epocali!
*Dirigente scolastico