Riflessioni sulle pagine del Vangelo di domenica 10 luglio
di Mons. Giuseppe Fiorillo
Carissime/ i
con questo brano del vangelo (Lc 10,25-37) siamo in cammino con Gesù verso Gerusalemme. Viaggio ricco di storie, di emozioni, di incontri .
Oggi avviene un incontro particolare con un dottore della legge che si si avvicina a Gesù e gli pone un interrogativo: chi è il mio prossimo?
A questa domanda Gesù risponde con una parabola, la parabola del buon Samaritano, uno dei racconti più belli della letteratura mondiale.
Nella cultura giudaica si discuteva molto su chi doveva essere considerato il proprio “prossimo”. Ai tempi di Gesù, generalmente, venivano considerati “prossimo” tutti i connazionali ed i proseliti, cioè, i gentili che avevano aderito al giudaismo. Con Gesù che, nel racconto, inserisce un Samaritano che soccorre un giudeo, la categoria di prossimo diviene universale, ha come orizzonte l’uomo, tutto l’uomo, anche il nemico. È noto che i Giudei, scrive Giovanni, “non mantenevano buone relazioni con i Samaritani” (Gv 4,9).
“Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti che gli portarono via tutto, lo percorsero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre .Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre.”
Gerusalemme-Gerico. Un dislivello tra le due città di quasi 1100 metri. Gerusalemme posta a 740 metri sopra il livello del Mare e Gerico a 350 metri sotto.
Le due città erano collegate, all’ora, da una unica strada di 27 km, in discesa, tutta curve, passando per il deserto di Giuda. Scenario allucinante, propizio ad incontri niente affatto piacevoli.
27 km che bastano a dividere gli uomini in due categorie.
Quelli che guardano e passano oltre e quelli che si fermano e si occupano degli altri.
Quelli che si autogiustificano col quietare la propria coscienza: “non tocca a me soccorrere… ho fretta. ..gli impegni familiari mi aspettano”; e quelli che si fermano, scendono da cavallo e si prendono cura.
Con la narrazione di questa parabola che si ispira, probabilmente, ad un fatto di cronaca, Gesù si allontana dalla vecchia religione del Tempio, rappresentata dal dottore della legge ed inaugura una nuova visione della religione, tutta rivolta all’uomo ed ai suoi bisogni.
A conclusione, l’interlocutore, viene delicatamente portato da Gesù a fare i conti con la vita e non con le astrattezze, con il cuore e non con la lingua ed accoglie l’invito:
“Vai ed anche tu fai così, come il Samaritano “. Cosa aveva fatto il Samaritano?
“Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore dicendo: abbi cura di lui, ciò che spenderai di più, te lo pagherò al mio ritorno”.
Dieci verbi in fila che parlano dell’amore concreto del Samaritano. Dieci verbi che sono il nuovo Decalogo per l’uomo credente e non credente, per l’ebreo ed il Samaritano, per il religioso e lo scismatico.

Oggi l’umanità ha urgente bisogno di samaritani che si prendano cura dei caduti sui bordi delle strade del mondo.
Oggi l’umanità ha bisogno di samaritani che escano dai palazzi, dalle chiese, dalle case per ridisegnare una nuova architettura della storia, “perché l’uomo sia promosso a uomo, perché la terra sia abitata da “prossimi” e non da briganti o nemici” (Ermes Ronchi).
La buona notizia di questa domenica: nel mondo ci sono milioni e milioni di briganti che derubato ed uccidono, ma per nostro conforto, sulla stessa strada di lacrime, passano dei buoni samaritani, che si fermano e si prendono cura di loro.
Don Giuseppe Fiorillo