Riflessioni sulle pagine del Vangelo di domenica 26 marzo
di Mons. Giuseppe Fiorillo
Carissime/i
il vangelo di Giovanni ha come pilastri della sua narrazione sette segni.
La resurrezione di Lazzaro è l’ultimo dei sette segni e si svolge a Betania, il primo segno avviene a Cana di Galilea.
Nel primo e nell’ultimo dei segni abbiamo delle donne che intercedono presso Gesù.
A Cana c’è Maria che, attraverso l’acqua trasformata in vino, su sua richiesta al suo Figlio, porta gioia ai due sposi.
A Betania ci sono due sorelle Marta e Maria che chiedono a Gesù vita per il loro fratello morto e l’ottengono.
Il fatto narrato (Gv 11,1-45) avviene a Betania, un villaggio a pochi chilometri da Gerusalemme. Qui risiede una piccola famiglia composta da due sorelle Marta e Maria (Luca 10,36-42) e di un fratello Lazzaro. Tutti e tre scapoli, perché probabilmente appartenenti al movimento dei “poveri di Jahve” (movimento spirituale che si rifaceva agli Esseni di Qumran nei pressi del mare Morto).
I tre erano amici intimi di Gesù. Quando Gesù veniva a Gerusalemme per celebrare le feste veniva sempre ospitato da questa famigliola.
Siamo vicini alla Pasqua, l’ultima festa che Gesù celebra prima della morte e Resurrezione. Giovanni ci informa che Gesù, in quei giorni, per sfuggire alle insidie dei Giudei che lo volevano morto, si rifugia con i Suoi al di là del Giordano.
Qui Gesù riceve un messaggio urgente da parte delle due sorelle: “Signore colui che tu ami è malato” (Gv 11,3). Gesù con molta calma risponde ai messaggeri che la malattia di Lazzaro non è per la morte, ma per la gloria di Dio. Tuttavia dopo due giorni, pur ostacolato dai suoi discepoli, decide di tornare in Giudea e precisamente a Betania.
Gli vengono incontro Marta e Maria e lo informano che, purtroppo, Lazzaro è morto da quattro giorni ed è in avanzata decomposizione a giudicare dal fetore di morte che proviene dal sepolcro.
Tuttavia, su richiesta di Gesù, il piccolo gruppo al quale si uniscono alcuni Giudei, venuti da Gerusalemme, si dirige verso la tomba, scavata nella roccia, secondo gli usi del tempo e chiusa da una ruota di pietra.
Davanti alla tomba Maria, donna fragile, contemplativa, piange. Il suo pianto è contagioso. Piange Marta, piangono i Giudei e piange Gesù.
Il pianto non è vergogna, ma è prendere coscienza dei nostri limiti e togliere le pietre di tutto ciò che è morte.
“L’ipocrisia con cui si vive la fede, è morte; la critica distruttiva verso gli altri, è morte; l’offesa, la calunnia, è morte; l’emarginazione del povero, è morte” (Papa Francesco).

Dopo il pianto Gesù si raccoglie in intensa preghiera per ringraziare il Padre che sempre lo ascolta e, poi, grida forte: “Lazzaro vieni fuori” (Gv 11,43).
Il cadavere compare sulla soglia del sepolcro fasciato dalle bende mortuarie.
Gesù dice loro: “liberatelo e lasciatelo andare”.
Gesù dà la vita a Lazzaro, ma chiede la partecipazione dei presenti, chiede comunità, chiede relazioni e, soprattutto, chiede di lasciarlo libero a godersi la vita ritrovata.
Buona domenica con una riflessione che prendiamo dalla Vita di Gesù del francese Ernesto Renan: “posso negare tutti i miracoli del vangelo, ma questo miracolo della Resurrezione di Lazzaro, assolutamente, non posso negarlo”.
Don Giuseppe Fiorillo