Riflessioni di un dirigente scolastico su emergenze educative, ineducazione e scuola
di Alberto Capria*
L’impressionante sequela di docenti e dirigenti intimiditi, offesi, vilipesi – quando non fisicamente aggrediti – da “orde” di studenti o da loro parenti adulti intervenuti per “lesa maestà”, se da una parte evidenzia un coacervo di negatività (ineducazione, assenza di strumenti di critica e di giudizio e qualche volta vera e propria delinquenza), dall’altra mette ancora una volta in luce i connotati di un’ emergenza educativa senza precedenti. Il che dovrebbe sollecitare finalmente il senso di responsabilità di ciascuno attraverso azioni accuratamente pensate e concertate, non solo annunciate con cambi lessicali, al fine di assicurare – ricreandolo – un clima di serenità e di funzionalità pedagogica, sociale e morale che nelle aule scolastiche dovrebbe trovare la sua massima espressione.
È il riverbero di ciò che avviene nella società, famiglie incluse, dove il sistema fondato su educazione ed autorevolezza è stato gradualmente e incessantemente spodestato da un’idea – costellata da arbitrio, abuso, dissolutezza – camuffata da falsa libertà.
“Non si permette ai fanciulli di essere liberi” – scriveva Platone – finché non abbiamo organizzato dentro di essi una costituzione e, coltivando la loro parte migliore, abbiamo insediato nella loro personalità un custode e governatore. Solo allora possiamo lasciarli liberi”.
È ormai opinione comune, anche fra i suoi operatori, che la scuola debba essere messa nella condizione di intervenire sulle “assenze” di alcune famiglie e sulle mutate esigenze degli studenti, profondamente cambiati nello stile di vita, più spettatori che attori del mondo nel quale vivono, iperconnessi ma essenzialmente soli, con progetti di vita essenzialmente ancorati ad un hic et nunc, tutto subito, adesso o mai più.
Nel rincorrere gli obiettivi dell’Agenda 2030 – fra “pilastri” ministeriali, avanguardie educative, recupero di prove standardizzate, prototipi digitali ed altre stupidaggini varie – dovremmo tenere conto dei problemi di inquinamento: non atmosferico ma umano, sociale ed etico. Per colpe di parte della popolazione adulta mai cresciuta, incapace di essere punto di riferimento per i ragazzi; per alcune scuole eccessivamente preoccupate da adempimenti ed “Eduscopi” vari e per un’erronea commistione fra famiglia, scuola, associazioni, enti.
Gli obiettivi sono e devono essere comuni, condivisi, interagenti: ma ruoli, compiti, responsabilità, competenze e prerogative sono e devono essere separati: unicuique suum.
Serve un ritorno dell’educazione famigliare e della pedagogia scolastica, unita ad un nuovo umanesimo inteso come orizzonte di senso per tutti e come scenario per la nostra società, individuando confini morali non negoziabili che siano argine a nuove forme di consumismo, edonismo e immediatezza; che seducono i ragazzi riducendone autonomia e capacità di distinguere il lecito dall’illecito, amplificando la loro solitudine pur nella proliferazione di tanti soggetti che si atteggiano a “maestri”, di scuola o di vita. Ed a poco servono patti di corresponsabilità, regolamenti protocolli e divieti, settimane a tema ed interventi di “esperti e testimoni”.
La riflessione e le possibili soluzioni – legate ad una complessità inconciliabile con slogan accattivanti buoni per inutili conferenze stampa o dirette social – vanno trovate subito perché, come diceva Aldo Moro: “oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità”.
Urge – ancor prima di “meriti e competizioni” – l’avvio di un processo empatico, intellettivo, scolastico, emotivo e sociale unitario, sorretto da un principio antropologico antico ed incontrovertibile: abbiamo certamente bisogno di più educazione, istruzione e formazione di qualità, ma non solo per essere buoni cittadini; molto più semplicemente per essere uomini e donne che vivono appieno il loro tempo.
* Dirigente scolastico