Riflessioni sulle pagine del Vangelo di domenica 28 maggio
di Mons. Giuseppe Fiorillo
Carissime/i,
oggi, celebriamo la Pentecoste col Vangelo di Giovanni (Gv 20,19-23).
In greco Pentecoste indica la cinquantesima giornata dopo Pasqua. In ebraico questa festa è chiamata ” Shavuot”, (festa delle settimane) perché cadeva sette settimane dopo Pasqua. Questa festa, presso gli Ebrei, celebrava il dono della Legge, data a Mosè sul monte Sinai, il dono dei primi frutti ed il dono dell’alleanza tra Dio ed il suo popolo, cantata dal profeta Geremia (31,31-34).
“La sera di quello stesso giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per paura dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo a loro e disse loro: pace a voi” (Gv. 20,19).
La paura.
I discepoli, dopo la morte di Gesù, si chiudono in casa per paura dei Giudei.
La paura chiude sempre.
Anche noi, oggi, ci chiudiamo nelle nostre sicurezze, perché anche noi abbiamo paura dei nuovi giudei.
Paura dell’altro, del diverso che invade i nostri territori, che contamina i nostri usi e costumi, che ruba il lavoro ai nostri.
Paura della pandemia che ha danneggiato le nostre relazioni, che ha portato via tanti nostri cari, che ha iniettato nelle nostre esistenze un sapore di morte. Paura delle guerre che sconvolgono l’ordine delle vite e delle cose. Paura dell’avvenire che si intravede carico di fitte nebbie. Paura del nucleare che, come una spada di Damocle, pende sulle nostre teste.
La pace.
Gesù viene e rompe i sigilli delle nostre chiusure e sta in mezzo a noi, non sopra di noi, né sotto di noi, in mezzo a noi, in comunione con noi e ci porta la pace: “pace a voi”.
Pace in ebraico “Shalom” che significa pienezza. Pienezza del granaio che dà pane, pienezza della botte di vino che “rallegra il cuore dell’uomo”, pienezza di vita da condividere con fratelli e sorelle in cammino verso una terra promessa.
“Detto questo, mostrò loro le mani ed il fianco. Ed i discepoli gioirono a vedere il Signore” (Gv. 20,20).
Gesù viene sempre e porta gioia, ma si presenta con le ferite che non nasconde.
Il suo corpo è glorioso, entra a porte chiuse, ma le ferite restano aperte e ben visibili, a causa delle nostre scelleratezze: “sei ancora quello della pietra e della fionda,/ uomo del mio tempo” (S. Quasimodo).
Tocca a noi curare le ferite dell’umanità, provocate da nuove pietre e nuove fionde, con il balsamo della solidarietà, dell’accoglienza, della fraternità e creare, così, cieli nuovi e terre nuove, dove non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate (Apocalisse di Giovanni).
Il soffio.
“Detto questo, soffiò e disse loro: ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati” (Gv. 20,22-23).
Il perdono non è una missione, riservata a preti e monaci, ma un impegno per tutti coloro che ricevono il dono dello Spirito in forza del sacramento della Cresima: uomini, vecchi, bambini, donne.
“Perdonare – scrive il teologo Raimon Pankkar – equivale a de-creare il male”. De-creare significa azzerare il male. Questa operazione avviene attraverso il piantare oasi di pace nelle famiglie, nelle comunità, piccole oasi che ci aiuteranno a conquistare i territori delle violenze, delle sopraffazioni, degli egoismi, delle mafie. Se non perdoniamo, se non apriamo feritoie di luce, il male si rafforza, conquistando sempre più territori esistenziali.
Scenda allora su di noi lo Spirito della Pentecoste e ci difenda dal maligno, ma anche da noi stessi, dalle nostre cadute, dalle nostre chiusure, “dai nostri balordi tentativi di autosufficienza” ( E Balducci).
Buona Pentecoste.
Don Giuseppe Fiorillo.