Riflessioni sulle pagine del Vangelo di domenica 26 novembre
di Mons. Giuseppe Fiorillo
Carissime/i,
con la solennità di Cristo Re dell’Universo, si chiude il ciclo del tempo liturgico che, per un intero anno, ci ha accompagnato, di domenica in domenica, alla conoscenza di Gesù.
Il vangelo di questa ultima domenica (Matteo 25, 31-46) ci presenta la grandiosa scena del giudizio di Dio sulla storia e su come gli uomini l’hanno vissuta pro o contro l’uomo.
“Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria… davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.
E dirà a quelli che stanno alla sua destra: “Venite benedetti del Padre mio, ricevete in eredità Il Regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.
Allora i giusti gli risponderanno: “Signore quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare o assetato e ti abbiamo dato da bere?”… E il Re risponderà loro: in verità io vi dico tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me.” (Matteo 25,31- 46).
Gesù viene e si siede per giudicare questo mondo. Davanti a lui sono convocati tutti i popoli: cristiani e non cristiani, credenti e non credenti, appartenenti a questa o quella razza, gente vissuta prima o dopo Cristo.
Tutte le genti sono presenti e senza distinzione. Su loro, però, ci sarà un giudizio e una separazione, ma non in base alle diversità ideologiche, culturali o religiose, ma sul rapporto vissuto con i più piccoli, con i più poveri.
Si salverà chi si è speso per aiutare i deboli, nel dare da mangiare a chi aveva fame, da bere a chi aveva sete, conforto a chi era nella disperazione, vestiti a chi era nudo, affetto a chi era malato, presenza a chi era impedito, perché in casa o in ospedale o in carcere.
Sei gesti, sei passi, vissuti nel quotidiano, che ci portano dalla terra al cielo, a Dio. “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me”.
Nell’ordinarietà della vita, con questi gesti, si crea un evento straordinario; cioè, Gesù si identifica con i deboli: “L’avete fatto a me”. È il Dio vicino! Difatti, a quanto viene fuori della parabola, la fame del povero è la fame di Dio, la sete dell’assetato è la sete di Dio, la nudità dell’indigente è la nudità di Dio.
È questa la teologia del Dio vicino!
Soltanto chi nella vita ha occhi per vedere la sofferenza, orecchi per ascoltare i lamenti, ha passi per scendere nei bassifondi “della perduta gente” per portare fuori brandelli di umanità, è un “benedetto”.
Ma chi minaccia, maltratta, umilia, sfrutta i poveri, chi distrugge città e convivenze umani con bombe sempre più intelligenti, chi lacera tessuti di relazioni millenarie con operazioni malavitose, è un “maledetto”, perché è un operatore di iniquità.
Buona domenica con la buona compagnia di San Basilio di Cesarea (Cesarea di Cappadocia 330 – 379 dopo Cristo): “Il pane che ammuffisce o si spreca sulla tavola è pane sottratto all’affamato; a chi è scalzo spettano le scarpe allineate nei tuoi armadi; a chi è nudo spettano i vestiti che le tarme consumano nei tuoi bauli; è del povero il danaro che si svaluta nelle tue casseforti o nelle tue banche”.
Don Giuseppe Fiorillo