Riflessioni sulle pagine del Vangelo di domenica 22 settembre
di Mons. Giuseppe Fiorillo
Carissime/i,
celebriamo la liturgia della 25ª domenica del tempo ordinario. Il vangelo, oggi, ci narra di Gesù che percorre i villaggi della Galilea, quasi di nascosto, con direzione Gerusalemme. Ultimo viaggio. Niente folle. Nessun miracolo. Gesù, ora, sente il bisogno di stare con i Dodici e confidare loro il senso della sua vita e della sua missione. Andiamo al testo :
“Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: “Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà”. Essi però non capivano queste parole ed avevano timore di interrogarlo. Giunsero a Cafarnao. Quando fu in casa, chiese loro: “Di che cosa stavate discutendo per la strada?” Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: “Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”. E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: “Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non coglie me, ma colui che mi ha mandato”. (Marco 9,30-37).
A Cesarea di Filippo, nell’alta Galilea, è iniziato il terzo ed ultimo viaggio verso Gerusalemme “la città che uccide e lapida i profeti” (Matteo 23, 37). Gesù cammina verso la “città della pace” con passi decisi. Gli Apostoli restano sconvolti, da un primo e secondo annunzio di morte: “Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, dopo tre giorni, risorgerà”.
Il messaggio forte Di Gesù, profetizzato con chiarezza 700 anni prima da Isaia profeta, lo capiscono poco, parlottando tra loro di ben altre cose… C’è tanta stanchezza. Giungono a Cafarnao. Entrano in una casa. Quale casa? Certamente la casa di Pietro, dove il Maestro, fin dai tempi della prima evangelizzazione di città e villaggi del litorale del lago di Genezaret, aveva posto la sua provvisoria dimora. Ora il gruppo, diviso lungo il cammino, si unisce in casa attorno a Gesù, ma con grande imbarazzo. Gesù aveva sentito che, lungo la strada, alcuni discepoli parlavano tra loro. Gesù quindi chiede:” Di che cosa. stavate discutendo lungo la strada”? Marco annota: “Ed essi tacevano”. Scende tra loro un alto silenzio. I discepoli ora si sentono in colpa, perché strada facendo avevano discusso tra loro chi fosse più grande. I Discepoli non avevo capito niente del messaggio di morte e resurrezione. Avevano preferito discutere di chi fosse il migliore tra loro nel nuovo regno (attendevano infatti un regno terreno che doveva presto instaurare Gesù).
Gesù aveva sempre rifiutato potere e gloria. E loro, ora, in questo momento drammatico, cercano potere e gloria. In questa casa di Cafarnao si certifica un umano fallimento! Ma Gesù è sempre pronto, a cominciare da capo. Non getta mai la spugna. “Sedutosi chiamò i Dodici e disse loro: “Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servatore di tutti”. Qui, in questa casa, ritorna la pedagogia del potere come servizio, ribadito altre volte da Gesù: “Voi sapete che coloro che sono
ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però, non è così; ma chi vuole essere grande tra voi, si faccia vostro servitore; e chi vuole essere il primo tra voi sarà il servo di tutti (Marco 10,42-44). Gesù, con questo insegnamento non condanna il desiderio di eccellere, di fare grandi cose nella vita, di dare il meglio di sé, ma, anzi, lo incoraggia. Da’ però una nuova visione per realizzare questo desiderio: non a spese degli altri, ma a favore degli altri.
Il potere dei potenti, invece, porta ad una situazione in cui uno domina e una moltitudine serve; uno è felice, gli altri infelici; uno si arricchisce, gli altri si impoveriscono. Alla fine, questo desiderio sfrenato di protagonismo porta distruzione nelle famiglie, nella società, nella convivenza tra i Popoli.
Non conosciamo la durata della conversazione pedagogica di Gesù nella casa di Cafarnao, ma sappiamo che, alla fine, le parole non bastano. E allora Gesù ci propone una icona, assai comprensibile, come sa fare Lui. Chiama un bambino e lo pone in mezzo a loro. Chi era questo bambino? Non lo sappiamo. Alcuni Scrittori delle origini del Cristianesimo dicono che era il figlio di Pietro.
Il bambino (dal latino infans, che non parla, che non sa) nella società antica era privo di qualsiasi diritto. “È il signor nessuno” (Antonio Spadaro). Gesù lo prende, lo abbraccia e dice: “Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato”. Gesù non mette al centro se stesso, ma il più indifeso e il senza dritti. Il bambino non sa di filosofia, né di scienze, né di leggi, sa solo di sorrisi, di tenerezze, di abbracci, di fiducia immensa nei suoi genitori.
Oggi, abbracciare i senza diritti, gli infanti, il signor nessuno, è accogliere Dio. E questi gesti facciamoli presto nella comunità cristiana, perché troppo breve è la vita per vivere da egoisti!
Buona domenica con le parole di un poeta indiano, non cristiano, ma vicino alle parole del Vangelo di questa domenica: “Dormivo e sognavo che la vita era gioia. Mi svegliai e vidi che la vita era servizio. Volli servire e vidi che servire era gioia”. (Rabindrana Tagore).
Don Giuseppe Fiorillo.