Tra gli arrestati nel blitz della Guardia di Finanza, Francesco D’Onofrio originario di Mileto, considerato dirigente e organizzatore della ‘ndrangheta nel torinese
Si potrebbe definire l’esordio del neo procuratore Giovanni Bombardieri, recentemente approdato all’ombra della Mole proveniente dalla città dello Stretto. È il blitz della Guardia di Finanza contro la ’ndrangheta in Piemonte, precisamente a Moncalieri, città di residenza e di influenza di Francesco D’Onofrio, poco più di 60 anni, originario di Mileto, considerato dagli investigatori e dalla Direzione Distrettuale Antimafia dirigente e organizzatore della ‘ndrangheta in Piemonte.
Gli uomini delle Fiamme Gialle lo hanno arresto questa mattina insieme ad altri cinque con le accuse di associazione di tipo mafioso, ricettazione, estorsione aggravata dal metodo mafioso nonché detenzione illegale di armi.
«Si tratta di un sodalizio radicato nella provincia torinese (in particolare nel carmagnolese), il quale – si legge in una nota proprio del procuratore Giovanni Bombardieri – avvalendosi della forza d’intimidazione derivante dal vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne consegue, ha commesso una pluralità di delitti e ha acquisito (in modo diretto, mediante intestazione fittizia di società e imprese artigiane, e indiretto, attraverso servizi di “protezione” e “recupero crediti”, intermediazione di manodopera e ingerenza nei rapporti tra imprese del settore edile, operai, sindacati di categoria e cassa edile) il controllo di attività economiche nel settore edilizio, immobiliare, dei trasporti e della ristorazione».
Il tutto parte con le investigazioni curate dal Nucleo di polizia economico-finanziaria Torino, dopo le operazioni “Carminius” e “Fenice”, che, nel corso del 2019, hanno consentito di disarticolare una articolazione ‘ndranghetista di matrice vibonese attiva in provincia di Torino.
Qui le cosche avevano messo le mani su una sigla sindacale degli edili in modo da controllare meglio questo settore dove un loro referente (anche lui tra gli arrestati), già implicato nel noto processo “Minotauro” (riguardante l’insediamento e l’operatività in Torino e in diversi comuni piemontesi di numerose formazioni ‘ndranghetiste, tutte collegate tra loro e costituenti una vera e propria rete associativa), il quale risulta dirigente e organizzatore della rete della ‘ndrangheta del Piemonte e “aver in tale veste promosso, favorito e partecipato a incontri tra associati di diverse articolazioni calabresi e piemontesi (per intese, alleanze, spartizioni del territorio, richieste di interventi di mediazione o recupero crediti, regolamentazioni di rapporti tra associati e articolazioni, autorizzazioni a commettere delitti) – e riferimento per appartenenti alla criminalità organizzata comune che intendevano ottenere avallo per la propria attività delittuosa”.
A lui spettava il ruolo di sovrintendente delle attività dei partecipi del sodalizio carmagnolese nel settore dell’edilizia, assicurando i sostentamenti finanziari per le spese legali degli associati e le loro famiglie.
Francesco D’Onofrio avrebbe «promosso, favorito e partecipato a incontri tra associati di diverse articolazioni calabresi e piemontesi per intese, alleanze, spartizioni del territorio, richieste di interventi di mediazione o recupero crediti, regolamentazioni di rapporti tra associati e articolazioni, autorizzazioni a commettere delitti». Sarebbe ancora stato «il riferimento per appartenenti alla criminalità organizzata comune che intendevano ottenere avallo per la propria attività delittuosa. Egli risulta aver esercitato il proprio ruolo anche sovraintendendo alle attività dei partecipi del sodalizio carmagnolese nel settore dell’edilizia, e poi aver assicurato i sostentamenti finanziari per le spese legali degli associati e le loro famiglie».
Emblematica, ai fini della descrizione del modus operandi dei soggetti coinvolti nelle indagini, è la figura di un ulteriore sodale, affiliato alla ‘ndrangheta sin dal 2003 (per questo già giudicato), il quale non solo ha favorito lo scambio di comunicazioni inerenti all’attività del gruppo criminale, organizzando incontri con altri appartenenti, ma ha anche concordato con altri sodali, citati quali testimoni in udienze per un processo riguardante delitti di matrice ‘ndranghetista, termini e modi per rendere falsa testimonianza, al fine di screditare un collaboratore di giustizia.
In un caso specifico, vantandosi della sua appartenenza all’organizzazione, ha costretto un soggetto estorto a consegnargli beni preziosi (bracciali in oro e simili), per un valore complessivo di circa 20 mila euro.
Destinatario del fermo è anche un soggetto attualmente detenuto in carcere per essere stato giudicato in via definitiva per avere fatto parte nel recente della ‘ndrangheta piemontese. Costui oltre a partecipare agli incontri tra i membri dell’organizzazione della ‘ndrangheta del Piemonte e a risultare protagonista di vicende estorsive, si è adoperato per fornire sostegno finanziario e assistenza logistica a favore del latitante Pasquale Bonavota, ritenuto appartenente di spicco dell’omonima cosca del vibonese, arrestato poi a Genova più di un anno fa dopo una lunga latitanza.