Riflessioni a proposito di come affrontiamo il quotidiano. Poiché come il Bene è una Condizione, l’Amore una Disposizione
di Rosario Rito*
Sin dalle scuole medie, se non prima, iniziano in noi i primi desideri di cosa vorremmo fare da grandi. Col passar del tempo e precisamente, quando l’idea o desiderio di cosa vorremmo realizzare ci è più chiaro, iniziamo a studiare, aggiornarci e approfondirci su quel determinato campo per poi, realizzarci come operatori o lavoratori in quel settore. Il tutto prende il nome di ‘Realizzazione di un proprio io’ che avviene, come appena detto, attraverso lo studio, la pratica e l’esperienza.
Ciò ci conduce a sostenere che ognuno di noi, è un intellettuale, poiché attraverso lo studio, l’approfondimento e la conoscenza, siamo riusciti a realizzarci come soggetti attivi e principalmente, utili a qualcuno, non solo come operatori in un determinato settore ma anche come promotori di idee o pratiche nuove.
Tutti siamo dei fondi di cultura e preparazione del o nel proprio lavoro o professione, poiché per aver potuto realizzare ciò che facciamo o desideravamo diventare, abbiamo studiato molto, sia in senso letterario e sia pratico.
Questo stato di fatto o d’essere, viene quotidianamente confuso col Senso civico, il quale oltre a non aver nulla in comune con la cultura, come esso non si può educare, in egual misura non si conquista con l’esperienza o il passar del tempo, ma è un qualcosa d’innato in noi e cioè, parte della nostra indole. Un qualcosa che viene costruito dal tipo di rapporto che noi abbiamo con i nostri peggiori guerrieri: l’Io che è voglia o desiderio di ciò che desideriamo a ogni costo o a qualunque prezzo e il proprio Sé che è il terreno, onde si fondano le radici della nostra emotività che nel frattempo, è la cabina guida di ogni nostra azione che è al suo timone e dove sta la nostra ricerca di senso. Al tal proposito, va anche detto che ogni tipo di sofferenza, come nasce e si sviluppa attraverso una specifica graduazione emotiva, esso è privo di razionalità e con ciò, come può trasformarsi in frustrazione per un qualcosa che non si possiede o si è perso, se non controllato, non solo può, ma il più delle volte, si trasforma in desiderio di vendetta.
Il desiderio di vendetta, come i soprusi, la paura del diverso, la pedofilia, la violenza sui bambini in tenera età, il femminicidio e quant’altro, non hanno nulla in comune con la cultura, bensì, sta al controllo delle nostre emozioni trovare la giusta volontà di ritrovare in noi, quel giusto equilibrio emotivo che, a causa del proprio orgoglio, rabbia, rancore e sete di vendetta, ci conduce in modo autonomo ad annullare noi stessi. Solo ed esclusivamente con un voglio sublime, da semplici persone, ci trasformiamo in subdoli servitori di un io radicalizzato in un suo volere privo di potenzialità sensoriale, capace solo a condurci all’annullamento dell’altra/o come nemico o rivale, annullandolo come identità di diritti decisionali, democratici e sensoriali.
Possiamo essere degli Dei nel proprio settore o culturalmente, ma se non abbiamo senso civico, o meglio l’autocontrollo del proprio orgoglio nei confronti di noi stessi per acquistare o, almeno, ricercare un minimo di equilibrio emotivo su ciò che riceviamo o ci fa star male. Come non riusciremo a comprendere le ragioni dell’altro, resteremo schiavizzati da un io radicato esclusivamente su un volere che non ha nulla in comune con l’essere degli intellettuali o altro, ma umanamente poveri e sprovveduti di civilizzazione.
Realtà questa che non ha niente in comune con la cultura o la morale, anche perché, se la prima appartiene allo studio, la seconda al grado di forza e di equilibrio che abbiamo nel sopportare la sofferenza, il disagio e l’orgoglio in noi stessi. Sì. Anche il senso morale è privo di razionalità, poiché esso si radicalizza, sul nostro stato emotivo, sociale e individuale e con ciò, è difficile da comprenderne il suo profondo significato. Siamo tutti moralisti, finché non ci troviamo in una situazione in cui crediamo di essere più umani degli altri.
Dire o sostenere che un femminicidio, una guerra, un omicidio e ogni altro tipo di violenza o sopruso che si fa o da’ sulla persona, sia un fatto di cultura, significa non aver compreso che come la ragione ha i suoi traguardi, debolezze e motivi d’esistere, l’essere civile, non dipende da ciò che siamo professionalmente o da quanto abbiamo studiato, ma dal valore che noi diamo alla vita, sia alla propria che all’altrui.
“Ama il prossimo tuo come te stesso’, disse una volta qualcuno, senza rendersi conto o accorgersi, che noi amiamo gli altri proprio come amiamo noi stessi.
Sì, proprio così. Poiché come il Bene è una Condizione e l’Amore una Disposizione, sta nella nostra indole, evitare e distruggere cosa o chi ci fa star male o soffrire. Peggio ancora se per il nostro sentirci superiori agli altri, gli dichiariamo guerra o giudichiamo per un credo o stato d’essere diverso dal nostro.
Siamo un niente perso nel nulla, se usiamo il nostro stato sociale per colpevolizzare gli altri, per nascondere la nostra indifferenza.
La cultura si conquista con impegno e voglia di apprendimento che esiste in noi. La civiltà, invece, è un qualcosa che come non si acquista e nessuno te la può insegnare o regalare, la si può acquisire con la ricerca della tua e altrui identità umana.
*Poeta, Scrittore