Nessuna nostalgia degli anni di piombo, degli scontri feroci e violenti degli anni ’70. E oggi come allora, non si può non simpatizzare con i poliziotti
di Maurizio Bonanno
Gli strascichi dopo i fatti di Bologna sono più inquietanti dei fatti stessi, perché si va a ruota libera dimenticando che la parola, secondo come la usi, è un’arma, la più pericolosa.
Sul Corriere della Sera, Venanzio Postiglione oggi ricollega i fatti dell’odierno “dopo Bologna”, con quella che fu la stagione violenta dell’Italia anni ’70. Ovviamente, senza nostalgia, anzi…
Perché quel ricordo sia da monito a chi, nei suoi ruoli, rifletta prima di sparare parole come proiettili. Perché, se a destra non frena la lingua il solito fomentatore (Salvini), anche la premier Meloni deve essere più cauta, ma è da sinistra che sembra richiamarsi un certo modo che ora, come allora, può – deve – preoccupare
Adesso che, sotto la guida di Schlein, il PD sta posizionandosi sempre più a sinistra richiamando alla memoria i fasti del vecchio PCI e rinunciando a quel moderatismo che, a partire da Veltroni aveva caratterizzato il partito a guida Renzi, Letta, Zingaretti, eccolo ritornare a convivere con le sue storiche grandi contraddizioni, la principale delle quali maggiormente si coglie proprio in questi giorni.
E così, torna alla memoria quel 16 giugno del 1968 quando a cogliere in fallo la sinistra e scoprirne le contraddizioni, fu un intellettuale scomodo, sempre scomodo anche da morto, come Pier Paolo Pasolini.
Quel giorno Pasolini pubblicava la famosa poesia sugli scontri di Valle Giulia a Roma, fra i giovani contestatori del Sessantotto e i poliziotti della Celere.
«Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti, io simpatizzavo coi poliziotti. Perché i poliziotti sono figli di poveri. Vengono da periferie, contadine o urbane che siano».
E ancora: «Avete facce di figli di papà. Vi odio come odio i vostri papà. Buona razza non mente. Avete lo stesso occhio cattivo. Siete pavidi, incerti, disperati (benissimo!) ma sapete anche come essere prepotenti, ricattatori, sicuri e sfacciati: prerogative piccolo-borghesi, cari».
La poesia pubblicata nel numero del settimanale L’Espresso del 16 giugno 1968, al tempo diretto da Nello Ajello, provocò un putiferio: uno dei più autorevoli intellettuali di sinistra dell’epoca, si schiera apertamente con i poliziotti e se la prende con gli studenti.
Letteralmente fece scandalo — cosa non rara quando si trattava di prese di posizione di Pasolini su grandi questioni epocali – perché metteva in evidenza come ad approvare i marciatori erano stati soprattutto i benpensanti, convinti, come gli stessi studenti in corteo, di essere progressisti e culturalmente avanzati.
In quella marcia a Valle Giulia i sessantottini dalle facce «da figli di papà» — «lo stesso occhio cattivo […] prepotenti, ricattatori, sicuri e sfacciati, buona razza che non mente», scrive il poeta — fanno a botte con i poliziotti. E la reazione di Pasolini colse di sorpresa: «Io simpatizzavo con i poliziotti – scrive – perché sono figli di poveri».
I fatti di Bologna, considerato che dopo l’accaduto non una parola di solidarietà ai poliziotti è stata appena accennata dall’attuale sinistra, PD compreso anche nei suoi esponenti meno radicali – riportano all’attualità quel paradosso pasoliniano, anche perché a quel tempo il Partito comunista non aveva ancora iniziato a trasformarsi nell’attuale movimento radicaleggiante, un po’ snob (senza arrivare al “caviale” evocato dalla Meloni) preoccupato a difendere più il diritto verso tematiche le più varie — anch’esso sacrosante, beninteso — che il lavoro e le condizioni di un proletariato che oggi non è più quello di allora, ma esiste nelle periferie ed al centro di quell’Italia che oggi molto spesso non ce la fa ad arrivare a fine mese e non si sente più rappresentata da questa sinistra, che non vota, e dai sindacati rimasti ancorati ad un modello di lavoratore sempre meno presente.
Eppure, proprio quella lunga poesia pubblicata allora dovrebbe oggi far riflettere riconoscendo la contraddizione lacerante con cui Pasolini si rende conto che quei poliziotti figli di poveri devono essere considerati, oggi come allora, oggi più di allora, umanamente vicini, a prescindere se sono in torto oppure no, perché attaccarli contribuisce a distruggere ed a indebolire le istituzioni e i valori che potrebbero essere un piccolo argine a certe pericolose derive,
Ed invece la sinistra cade nella stessa trappola di allora, recupera e ritrova il vecchio pregiudizio condannando le forze dell’ordine col sospetto preconcetto di considerare quei violenti “compagni che sbagliano”. Accadde così qualche decennio fa e come è andata a finire negli anni di piombo e del terrorismo è bene richiamarlo ancora alla memoria.
La storia insegna che gli estremismi e la violenza portano verso strade che richiamo violenza e reazioni terroristiche. La sinistra ed il PD di Schlein ricordi la lezioni di Pasolini ed eviti quel paradosso che portò e porta ancora all’errore: abbandoni sin da subito il pregiudizio sulle forze dell’ordine e riporti il dibattito politico lungo la via del confronto piuttosto che dello scontro, della proposta e non solo della denuncia gridata.
È anacronistico, pure inutile, riportare la parola “fascismo” come scudo a difesa dell’attacco. Perché, come evidenzia Postiglione: “Il problema del fascismo che bussa sempre alle porte è che poi apri e non c’è nessuno”.
Ed allora, rifarsi alla dicotoma tra fascisti (Schlein e Lepore) e comunisti (Salvini) appare come l’alibi giusto per evitare di parlare ed affrontare i problemi dell’oggi. Che sono tanti, sono complessi, a tratti socialmente drammatici: una lista lunga che, quella sì, preoccupa. Preoccupa la gente, la gente comune, quella che ogni giorno si arrabatta, si ingegna, armeggia per sbarcare il lunario. E alla politica chiede e si aspetta risposte e rassicurazioni.
Quella poesia, Pier Paolo Pasolini la scrisse nel giugno del ’68!