Sergio Riitano avrebbe fatto parte, insieme all’imprenditore Giuseppe Paparatto di un sistema di somministrazione fraudolenta di manodopera e frode fiscale, entrambi sono stati messi ai domiciliari
Questa mattina, oltre 120 finanzieri del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Catania, hanno eseguito, nelle province di Catania, Caltanissetta, Messina, Siracusa, Ragusa, Trapani, Cosenza, Vibo Valentia, Napoli, Roma, Viterbo e Varese, un’ordinanza di misure cautelari nei confronti di 15 persone di cui 2 in carcere, 4 agli arresti domiciliari e 9 destinatari di interdittiva finalizzate al sequestro di 28 società, nonché di beni e disponibilità finanziarie per oltre 8,2 milioni di euro
L’intera operazione però vede complessivamente 29 indagati, ipotizzando i reati di associazione a delinquere, emissione di fatture per operazioni inesistenti (FOI), dichiarazione dei redditi infedele e fraudolenta mediante l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti nonché indebita compensazione di crediti fiscali inesistenti.
Le investigazioni hanno preso avvio a seguito dello svolgimento di una serie di controlli fiscali, che avrebbero fatto emergere i segnali di un fenomeno illecito organizzato e particolarmente diffuso, specie tra le imprese operanti nel settore turistico-alberghiero di Sicilia, Calabria e Lazio, dannoso sia per l’Erario, a causa dell’ingente evasione di imposte (dirette e IVA) e contributi previdenziali, sia per le aziende che operano lecitamente sul mercato, meno concorrenziali rispetto a quelle che si sarebbero avvantaggiate della frode, in grado di praticare tariffe più convenienti in virtù dei conseguenti più elevati margini di guadagno.
Il meccanismo di frode prevedeva uno schema operativo ricorrente che partiva dalla costituzione di entità giuridiche in forma di consorzi (con sede legale a Roma e Firenze) e società consorziate (oltre 26 susseguitesi nel tempo distribuite tra le province di Milano, Firenze, Roma, Catania e Messina), tutte prive di una propria organizzazione, di mezzi e senza l’assunzione di alcun rischio d’impresa, aventi di norma un ciclo di vita molto breve durante il quale avrebbero accumulato, senza onorarli, ingenti debiti tributari.
Questi soggetti giuridici, legalmente rappresentati da prestanome, spesso nullatenenti e privi di competenze professionali adeguate al ruolo apparentemente rivestito, avrebbero operato come meri serbatoi di manodopera, nel senso che sarebbero stati utilizzati esclusivamente per assumere un numero elevatissimo di lavoratori, per la maggior parte provenienti dalle aziende divenute clienti, per poi metterli a disposizione proprio di queste ultime sotto forma di appalto di servizi fittizio. In realtà, come emerso dalle investigazioni, i lavoratori non hanno mutato né sede lavorativa, né qualifica professionale, rimanendo, di fatto, alle dipendenze dell’originario datore di lavoro per continuare a svolgere le proprie ordinarie mansioni.
Lo scopo sarebbe stato dunque quello di esternalizzare, solo in apparenza, la forza lavoro, in modo da conseguire diversi vantaggi consistenti per le società clienti, nella maggiore flessibilità a fronte di una riduzione di costi sul lavoro, potendo modulare l’entità della manodopera in base alle esigenze di periodo e, al contempo, risparmiare sugli oneri retributivi, assicurativi, previdenziali e normativi connessi alle diverse tutele riconosciute ai lavoratori; ciò per effetto del licenziamento dei dipendenti delle predette aziende e della parallela assunzione in capo alle consorziate. Per di più, la stipula (solo formale) di un contratto di appalto avrebbe consentito alle clienti di detrarre l’iva applicata in fattura (non genuina) relativa ai “presunti servizi” erogati e per gli ideatori del “sistema consorzio”, negli ingenti profitti illeciti derivanti dal mancato pagamento allo Stato dei debiti erariali (per imposte e contributi) maturati dal consorzio e dalle consorziate, neutralizzati attraverso indebite compensazioni con crediti IVA inesistenti derivanti dal simulato acquisto di beni strumentali da società “cartiere”, in realtà appositamente costituite dal sodalizio criminale per emettere fatture false.
Quest’ultima operazione è risultata essenziale nella filiera del sistema fraudolento in quanto, beneficiando di compensazioni con crediti inesistenti, le consorziate hanno potuto certificare al cliente finale di avere “correttamente” assolto agli obblighi di versamento, fornendo la certificazione di regolarità contributiva (da INPS o INAIL competente per territorio), cioè il modello DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva).
Questo sistema, in Calabria ha colpito soprattutto la filiera del turismo dove le aziende coinvolte potevano offrire servizi a costi inferiori a quelli di mercato accaparrandosi così una fetta di mercato maggiore.
Nei soli ultimi cinque anni, l’importo totale delle fatture false emesse si aggirerebbe intorno ai 56 milioni di euro, con circa 13 milioni di IVA evasa e profitti illeciti pari a oltre 8 milioni di euro.
Secondo la Guardia di Finanza i principali responsabili di questo sistema fraudolento sono il commercialista Antonio Paladino e il suo collaboratore Gaetano Sanfilippo, considerati i veri e propri promotori e organizzatori della rete e, malgrado non avessero ruoli formali nei consorzi e nelle consorziate, avrebbero gestito e orchestrato l’intera operazione, anche grazie all’aiuto di altre persone coinvolte sia in Calabria che nel Lazio, in particolare nelle persone del cosentino Sergio Riitano, responsabile e referente della rete commerciale in Calabria e nel Lazio, dal marzo 2022 nominato Commissario liquidatore del CORAP in liquidazione coatta amministrativa e ora anche della nuova Agenzia per lo sviluppo delle aree industriali, e di Giuseppe Paparatto di Ricadi, referente di alcune strutture ricettizie operanti in Calabria, nelle plurime vesti di imprenditore, professionista, consulente del lavoro e depositario delle scritture contabili di società clienti dei consorzi nonché procacciatore di clienti per questi ultimi, già sotto processo per l’inchiesta della Guardia di Finanza e della Procura di Vibo Valentia sul fallimento della “501 Hotel S.p.A”, del “501 Hotel Gestione S.r.l.”, della “Phoenices General Trade S.r.l.” e della “Onda Verde Mare S.r.l”, con l’accusa di bancarotta fraudolenta, società che avevano gestito importanti strutture ricettive della provincia vibonese come l’Hotel 501, il Lido degli Aranci e l’Acquapark di Zambrone.