Riflessioni sulle pagine del Vangelo di domenica 29 dicembre… e una toccante testimonianza personale
di Mons. Giuseppe Fiorillo
Carissime, carissimi,
la festa della sacra Famiglia di Nazareth prolunga la gioia del santo Natale. Ogni anno, questa festa ricorre tra Natale e Capodanno. Il vangelo di oggi ci presenta la storia di una crisi familiare, di un ragazzo che, a 12 anni, si allontana, anche se per poco tempo, dalla sua famiglia.
Ascoltiamo il testo: “I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe 12 anni, vi risalirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: “Figlio perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo”. Ed egli rispose loro: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io debbo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. Scese dunque con loro e venne a Nazareth e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini. (Luca 2, 41-52).

Questo brano del vangelo di Luca ci presenta una pedagogia familiare da attuare in tutti i risvolti delle vicende familiari, liete e tristi. È la pedagogia di un cammino da fare assieme, di un pellegrinaggio comunitario di speranza. Ogni anno da Nazareth, per la celebrazione della Pasqua, scendono assieme a Gerusalemme Maria, Giuseppe, Gesù e piccoli gruppi della comunità. Tutti camminano a piedi per diversi giorni (150 km Nazareth- Gerusalemme) con gli asinelli che portano sulla groppa le masserizie e le persone più anziane. A 12 anni i bambini, nel Tempio, col rito del bar metzwà (Figlio del comandamento) venivano dichiarati adulti e capaci di leggere, ad alta voce, la Torah nelle Sinagoghe. Anche Gesù, dopo aver celebrato il suo bar mitzwà, rivendica la sua autonomia non unendosi alla carovana che ritorna a Nazareth. Resta nel Tempio, seduto in mezzo ai maestri, ascoltandoli ed interrogandoli. I genitori lo ritrovano, lì, dopo tre giorni di ricerca. Restano stupiti e Maria non accusa, non giudica, ma cerca di capire: “Figlio, perché ci hai fatto questo?”
Il lamento di Maria è il lamento di tutte le mamme, che si trovano, spesso, spiazzate di fronte a scelte difficili dei figli e che non condividono.
Correva l’anno 2015, tempo natalizio. Una mamma angosciata, in tarda serata, mi chiama al capezzale del figlio, gravemente ammalato, vittima di abuso di droga. Quella notte, dinanzi alla sofferenza del giovane e degli interrogativi su come sarà l’incontro con Dio, non ho saputo dire altro che narrare lentamente la parabola del Padre misericordioso e del figlio prodigo. Passano le ore e, prima di reclinare il capo e spirare, mi affida questo messaggio per i genitori: non voglio funerale in chiesa, perché io ho tradito Dio, che mi ha dato dei talenti che ho sciipato, ho ingannato la mia famiglia e tutti gli amici che confidavano in me. Fare il funerale è come continuare a tradire.
Nel rispetto delle sue volontà, abbiamo celebrato una piccola cerimonia, nel cappella del cimitero, con lettura di Salmi di consolazione spirituale. Il fratello maggiore, down, con lenti gemiti, ripeteva baciando la bara: Maicol, Maicol , perché ci hai fatto questo?
Da allora e sempre, nel ricordo di questa storia, mi tornano sempre in mente le parole di Maria: “Figlio, perché ci ha fatto questo?”.
E, sempre mi tornano in mente le parole di Maria, nell’ascolto di mamme che piangono figli, che vengono ingoiati nei bassifondi del degrado umano; figli che partono senza ritorno; figli, che si chiudono in se stessi, senza storia e privi di speranza.
Gesù si perde, ma nel tempio. Lascia, poi, i maestri della legge e si unisce ai maestri di vita: Maria e Giuseppe. Al tempio, preferisce il calore della casa e la compagnia di Maria e Giuseppe e della povera gente di Nazareth. “Scese dunque con loro e venne a Nazareth e stava loro sottomesso”. “Sottomesso” da intendere secondo il linguaggio biblico “stare sotto la custodia”, non, quindi, dominato, ma semplicemente custodito.
Nella casa di Nazareth Gesù si nutre alla scuola dell’amore, vissuto nell’armonia della crescita in età, sapienza e grazia, in perfetta comunione con Dio e con la comunità degli uomini. Gesù vive, così, a Nazareth, i giorni e le stagioni al ritmo dei lavori domestici della madre: (lavare, rammendare, pulire, impastare la farina per il pane); e al ritmo dei lavori artigianali del padre (il battere del martello sui chiodi per unire i pezzi di legno, la pialla che modella gli utensili, la sega che accompagna il lavoro nel preparare porte e finestre e panche per la parca mensa. “Chi ama compie sempre azioni esatte, azioni vere” (Giovanni Vannucci).
Buona festa della famiglia. “Tutte le famiglie felici si somigliano, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”. (Lev Tolstoj, Anna Karenina).
Don Giuseppe Fiorillo.