Riflessioni sulle pagine del Vangelo di domenica 5 gennaio
di Mons. Giuseppe Fiorillo
Carissime, carissimi,
in questo periodo, strettamente natalizio, ci hanno accompagnato i testi del Vangelo di Luca con narrazioni, assai vicine alla nostra sensibilità e capaci di creare forti simpatie attorno alle vicende della Famiglia di Nazareth che, ubbidendo all’editto di Cesare Augusto, scende a Betlemme dove, in una grotta, nasce il bambino Gesù, accolto dai poveri della terra: pastori, contadini, artigiani.
Oggi, seconda domenica dopo Natale, con la suggestione dell’incipit del Vangelo di Giovanni, siamo portati a volare alto.
Accostiamoci con umiltà al testo di Giovanni:
“In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. In Lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. (Giovanni 1,1- 18).
Giovanni, secondo la tradizione, scrive (o meglio detta perché ormai era cieco) il suo Vangelo nel 97 dopo Cristo, ad Efeso, quando i Vangeli di Marco, Matteo e Luca erano conosciuti nell’area del Mediterraneo. Giovanni, quindi, si propone di lasciarci, più che narrazioni, messaggi teologici e filosofici.
Il suo prologo è un inno di straordinaria bellezza. È una delle pagine più alte di tutta la Bibbia. L’avvio rimanda all’inizio della Genesi: “In principio Dio ordinò cielo e terra”… (Genesi 1,1-3). Il Cristo ci viene presentato come un nuovo principio, come una nuova creazione: “In principio era il verbo…”. Cristo è chiamato Logos, (Parola, Verbo) termine che rimanda alla cultura greca (dominante al tempo di Giovanni!), ma con radici nell’Antico Testamento, quale sapienza del Signore che tutto ordina nell’armonia dell’esistenza.

In questo prologo l’Evangelista, che proietta Gesù in alto, è lo stesso che lo riporta vicino all’umanità, affermando: “E il Verbo si è fatto carne e venne ad abitare In mezzo a noi”.
Le teologie e le filosofie antiche hanno sempre posto Dio in cima ad una piramide. Incarnandosi Dio ha ribaltato tutto, ponendosi alla base della piramide. “Si è fatto pietra angolare dell’edificio” ( Efesini, 2,20); ci ha presi su di sé e “sostiene tutto con la potenza della sua parola” (Ebrei 1,3).
“Nessun Dio può mescolarsi con gli uomini”, aveva scritto Platone; Aristotele aveva aggiunto: “Dio muove il mondo, motore immobile, lontano però dell’uomo”. L’uomo si sforza di andare a Dio, ma Dio non va verso l’uomo.
La novità del Cristianesimo sta qui: è Dio che va verso l’uomo. “Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha chiamato noi, mandandoci suo figlio… Noi amiamo perché egli ci ha amato per primo” (1 Giovanni 4, 10-19). Questo amore è così folle verso l’umanità da farsi carne e venire ad abitare in mezzo a noi. Il logos, la parola eterna ed infinita, entra nelle dimensioni umane dello spazio e del tempo. Il Dio cristiano, pur rimanendo Dio, ha un volto col quale dialogare, fissare uno sguardo, dare una parola, manifestare un sorriso. Questo è il tema dell’Incarnazione, evento centrale del Vangelo di Giovanni.
L’Incarnazione, allora, chiama i cristiani a vedere Cristo nei fratelli più fragili: “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi…” (Matteo 25, 35-36). L’incarnazione nella storia della salvezza, lungo i secoli, ha avuto sempre una caduta concreta nel creare e governare ospedali, lazzaretti, asili notturni, orfanotrofi… E, anche oggi, quante mense, quante case di accoglienza… Perché Cristo è là, dove c’è l’umanità, che soffre, che gioisce, che spera, che attende; è là, nei nuovi lager della Libia e dei mille altri inferni; è là, ai bordi delle fragili piste del deserto, dove la gente, in cerca di una terra promessa, si perde e, spesso, muore di stenti per mancanza di pane e di acqua; è là, dove i figli chiedono pane, scuola, futuro ed uomini malvagi e, senza un briciolo di cuore, danno bombe, distruggono case, città e uomini e donne e bambini. ..
Buona domenica col fare memoria che: “Ognuno di noi è un messaggio che Dio manda al mondo e che non si ripeterà più”. (Giovanni Vannucci).
Don Giuseppe Fiorillo.