Tante voci in un coro sono un valore aggiunto, ma lo spartito deve essere necessariamente unico
di Alberto Capria
Settanta anni di pace, stabilità e parziale prosperità, democrazia, libertà fondamentali e Stato di diritto non sono poca cosa: ma può bastare solo questo – che è tanto, è bene dirlo – per essere europeisti convinti o, meglio, per dirci contenti di questa Europa?
L’Unione Europea ha una popolazione di quasi 450 milioni di abitanti – terza nel mondo dopo quelle di India e Cina – una superficie di circa 4 milioni di km quadrati; un PIL complessivo di ben oltre 14.000 miliardi di euro (dati Eurostat) ed è seconda nel mondo per commercio internazionale; le forze armate nazionali, sommate, sono pari a quelle di una superpotenza.
Sulla carta, dunque, l’Europa ha tutte le carte in regola per contare sullo scacchiere internazionale. Le manca, purtroppo, il completamento dell’integrazione politica, presupposto per assumere un ruolo da protagonista, per parlare con una sola voce, per proporre anziché rincorrere.
Certamente le pluralità geografiche – storiche – politiche, a cui si aggiunge quella culturale – non aiutano. C’è un’Europa che affonda le proprie radici nel Mediterraneo dell’età classica in cui è ancora vivo ed evidente il lascito umanista, e un’altra con storia, epica e miti completamente diversi.
Ad ogni grave crisi che investe interessi e “sensibilità” dell’Europa, se ne lamenta l’irrilevanza – ed il mancato invito al tavolo di Riad è emblematico. Si continua giustamente ad asserire che è assente una politica estera, di sicurezza e difesa; e mancano soprattutto forze armate comuni, che quella difesa dovrebbero assicurare.
Se la specificità dell’Europa è data dalla varietà e eterogeneità di cui è espressione – ed in questo risiede allo stesso tempo la sua ricchezza e la sua debolezza – è giunto il momento di chiedersi se la strada da percorrere per rimediare all’irrilevanza internazionale non sia quella che conduce al superamento di questa pluralità. Reculier pour mieux souter dicono i francesi; cedere un po’ di sovranità, per ritrovarla amplificata in quella comunitaria.
Chi governa l’Europa deve decidere se continuare a lamentarsi – ricordando che in politica chi si lamenta si trova prima o dopo dalla parte del torto – o ergersi a protagonista della nostra storia e del nostro futuro, al momento giocato o ipotizzato da leaders extraeuropei (Putin, Trump, Netanyahu, Xi Jimping).
Ci sarà pure un modo per scrollarci di dosso le miriadi di inutili regole, che ci siamo dati per gestire l’UE in un’altra era geologica. Ci sarà pur un modo per accelerare l’ingresso dell’Ucraina nell’UE, in nome dei valori condivisi che uniscono i 27 paesi che ne fanno parte; Capiremo – speriamo presto – che l’inverecondo appoggio ai neonazisti è un attacco all’Europa. Troveremo pure un po’ di coraggio per rispondere come si deve a nuovi attori che, citando il Presidente Mattarella, “aspirano a vedersi affidare signorie nella dimensione pubblica, sorta di usurpatori delle sovranità democratiche”, o ad opporci a nuovi …cowboy!
Vedere scorrere vicende importanti nel mondo e osservare quanto è irrilevante la voce europea oggi, è davvero umiliante. Se pensiamo che a Ventotene – quando il progetto di integrazione europea prese forma – si ribadì con forza che ciò che contava era mettere insieme politica di sicurezza, di difesa ed estera, è eclatante il ritardo che stiamo pagando, per l’appunto, con l’irrilevanza.
Tante voci in un coro sono un valore aggiunto: ma lo spartito deve essere necessariamente unico: la prospettiva di un “vassallaggio felice” non deve neanche sfiorarci!