Più volte, con un attegiamento mafioso, aveva minacciato la ditta che stava effettuando i lavori di ristrutturazione di un immobile confiscato e destinato a diventare una struttura per le vittime di violenza
È difficile riportare nell’alveo della legalità gli immobili che erano stati confiscati alla mafia con lo scopo di renderli fruibili alle comunità dove sono ubicati.
È difficile perché, in primo luogo, non tutti gli imprenditori accettano di prendersi in carico la loro riconversione e poi perché può capitare che qualcuno intralci i lavori per evitare che quei beni possano essere utilizzati da qualcuno che non sia il loro iniziale proprietario.
È successo anche ad Africo, in provincia di Reggio Calabria, dove il titolare di un’impresa edile impegnata in lavori di ristrutturazione di un immobile confiscato alla ‘ndrangheta e destinato, dal Comune, a diventare una struttura per le vittime di violenza, è stato minacciato a tal punto da decidere di lasciare l’appalto.
I fatti hanno avuto inizio nel luglio dell’anno scorso quando la ditta ebbe in appalto questi lavori; un uomo avvicinò gli operai offrendo loro la possibilità di alloggiare in una struttura ad un prezzo conveniente, naturalmente questi hanno accettato anche perché dovendo stare fuori casa per parecchio tempo hanno intravisto la possibilità di risparmiare, ma sin da subito si sono trovati ad affrontare aumenti non previsti, con richieste di denaro accompagnate anche da minacce, tanto da dover lasciare la sistemazione di Africo e trasferirsi in un comune vicino.
Tutta la vicenda è stata ricostruita in seguito alla denuncia dell’imprenditore che ha raccontato una serie di altri episodi che alla fine lo hanno costretto a lasciare.
Le indagini portate avanti dagli agenti della Squadra mobile, coordinati dalla DDA reggina, hanno permesso di fare luce su una serie di piccoli furti che sono avvenuti in questi mesi nel cantiere e anche su una serie di circostanze non troppo trasparenti e che hanno visto sempre la stessa persona quale protagonista di richieste non del tutto a norma che alla fine è stata arrestata con l’accusa di estorsione e rapina aggravate dal metodo mafioso.
In questo periodo l’unica ditta disponibile a effettuare lo smaltimento degli inerti, tra le tante contattate dall’imprenditore, aveva trovato tutta una serie di scuse per rinviare l’inizio dei lavori, poi come d’incanto una notte di settembre, e senza nessun preventivo accordo, sempre la stessa persona che aveva inizialmente offerto gli alloggi agli operai, si sarebbe presentata in cantiere portando via tutto il materiale destinato alla discarica, tornando poi di giorno pretendendo il pagamento di 5000 euro per il lavoro effettuato, una cifra che è sembrata subito sproporzionata rispetto ai prezzi di mercato e soprattutto riferita ad un lavoro non commissionato e senza aver fornito alcuna documentazione obbligatoria per lo smaltimento di questo genere di rifiuti.
Ma non è stato l’unico episodio avvenuto utilizzando il tipico atteggiamento mafioso, pare che l’uomo si sia presentato in cantiere facendo minacce e mostrando anche una pistola, così da costringere gli operai a portare diverso materiale necessario per la ristrutturazione e alcuni attrezzi di cantiere, in una campagna di sua proprietà, intimando loro di non tornare più a lavorare alla ristrutturazione del bene confiscato.
Alla luce di tutti questi episodi l’imprenditore ha preferito desistere dal portare avanti l’appalto ricevuto, anche se ora è supportato dai referenti dell’Associazione antiracket di Reggio Calabria, che stanno cercando di convincerlo a proseguire con i lavori, e a denunciare tutto alla Polizia, non si sa se accetterà di portare a termine il lavoro, intanto gli è stato restituito parte del materiale e delle attrezzature che gli erano state portate via.