Il Vibonese sconta l’assenza di leadership e di visione. Serve un progetto di rigenerazione culturale e politica che riparta dalla società civile
I risultati delle ultime elezioni regionali hanno fotografato, impietosamente, il profondo vuoto di rappresentanza e leadership che attraversa il Vibonese. Un territorio rimasto, con un solo eletto in Consiglio regionale che dovrà trovare la forza di incidere politicamente (dopo la significativa prova di forza personale che ha dimostrato di possedere) mentre latitano le voci, sia a destra che a sinistra, le quali più che una sconfitta elettorale, hanno segnalato il sintomo terminale di una crisi più vasta e radicata: quella di un’intera classe dirigente incapace di interpretare bisogni, visioni e ambizioni di una comunità che sembra sempre più orfana del proprio futuro.
In un’epoca in cui le appartenenze ideologiche si liquefano e i partiti si riducono spesso a contenitori elettorali senz’anima, la politica vibonese si è presentata all’appuntamento con le urne con il fiato corto, priva, con un’unica eccezione, di progettualità credibili e radicamento sociale. Le candidature sono apparse frutto più di equilibri interni e compromessi tattici che di una reale volontà di rappresentare il territorio. E l’elettorato, sempre più disilluso, ha risposto con l’arma più silenziosa ma più eloquente: la dispersione del voto.
Ma sarebbe miope leggere questo risultato elettorale solo come il fallimento di singoli candidati o dei partiti. Quello che si è disgregato nel Vibonese è un intero sistema di rappresentanza. Un tessuto istituzionale, culturale ed economico che, da anni, vive in una condizione di afasia collettiva, incapace di elaborare una visione d’insieme, un progetto di sviluppo, una narrazione condivisa su cui costruire il domani. Questo risultato non è solo l’esito di una campagna elettorale sbagliata: è lo specchio di un malessere più profondo e strutturale.
Il flop non è solo elettorale, ma culturale. Non è solo la crisi dei partiti, ma di un’intera idea di rappresentanza. Il Vibonese sembra oggi un territorio senza classe dirigente, o meglio, senza una classe dirigente all’altezza delle sfide contemporanee: spopolamento, isolamento infrastrutturale, marginalità economica, sfiducia istituzionale. Chi ha responsabilità politiche o istituzionali in questo contesto, spesso si limita ad amministrare il declino, quando servirebbe invece uno scatto, una visione, un progetto collettivo.
Serve, dunque, un atto di coraggio. Un esercizio di verità. Dalle macerie politiche di oggi può e deve nascere una riflessione profonda che metta in discussione non solo gli equilibri tra partiti, ma il senso stesso della leadership in questo territorio. Rifondare non significa semplicemente cambiare i volti, ma interrogarsi su come si forma una classe dirigente, su quale sia il rapporto tra merito e consenso, tra rappresentanza e competenza, tra etica pubblica e responsabilità personale.
È il momento di rompere con i vecchi schemi autoreferenziali. Di aprire spazi nuovi alla società civile, al mondo delle professioni, ai giovani che vogliono restare e non fuggire, agli imprenditori che resistono nonostante tutto, agli intellettuali che non possono rassegnarsi all’analfabetismo del pensiero. Occorre ricostruire dal basso, attraverso una nuova grammatica del fare politico che metta al centro la formazione, la visione strategica, il radicamento territoriale e una rinnovata passione per il bene comune.
Vibo Valentia ha bisogno di ritrovare un’identità, un’appartenenza, una prospettiva. Ma per farlo, serve il coraggio della discontinuità. Serve, soprattutto, una nuova generazione di leader capaci non di amministrare l’esistente, ma di immaginare l’impossibile.
Perché il problema del Vibonese non è solo politico. È, prima di tutto, culturale. Questo vuol dire che è il momento di passare dalla riflessione all’azione avviando un percorso di rigenerazione democratica e culturale.
Ed ecco, allora. la proposta, una proposta concreta: la creazione del “Cantiere Vibo 2030”: un laboratorio civico, apartitico ma non apolitico, in cui far convergere giovani, imprenditori, professionisti, docenti, associazioni e cittadini desiderosi di impegnarsi per un nuovo inizio.
Un luogo fisico e digitale dove si studiano le criticità del territorio, si formano nuove competenze, si costruiscono reti e si selezionano – con criteri trasparenti – nuovi volti per la politica e l’amministrazione. Non l’ennesimo think tank autoreferenziale, ma una fucina di partecipazione reale che faccia da incubatore di idee, leadership, e pratiche di cambiamento.
Questa esperienza potrebbe ispirarsi a modelli già sperimentati in altre aree del Paese – come le “scuole di politica civile” o le “agorà del territorio” – adattandoli alla specificità calabrese, vibonese in particolare, intrecciando la riflessione teorica con la concretezza dell’azione amministrativa e sociale.
Perché prima ancora di una nuova classe politica, Vibo Valentia ha bisogno di una nuova coscienza collettiva.