Ha ragione il vicesegretario nazionale di Forza Italia, Roberto Occhiuto: “Non bisogna correre. il testo può essere migliorato”
di Maurizio Bonanno
Già un anno e mezzo fa, l’amico Davide Giacalone aveva sentenziato: “Inutile girarci attorno: il regionalismo differenziato è un pasticcio insensato che non potrà mai funzionare… sforma la Costituzione che la sinistra scassò nel 2001”.
L’aula della Camera ha ripreso l’esame del ddl sull’autonomia differenziata ed è stata bagarre; di più, è finita in rissa con tanto di cazzotti che sono volati in quell’emiciclo che dovrebbe rappresentare il cuore pulsante di una vera, reale democrazia.
Con l’autonomia differenziata, sanità, istruzione, musei, lavoro, sostegno alle imprese, trasporti, strade e autostrade, ferrovie, porti e aeroporti, paesaggio, ambiente, laghi e fiumi, rifiuti, edilizia, energia, enti locali passano integralmente alla competenza delle regioni che ne faranno richiesta e che per il momento sono Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna.
In questo modo, lo Stato si ritrova privo delle leve essenziali per realizzare politiche sociali, culturali, ambientali, economiche di respiro nazionale e la conseguenza più immediata profila un caos applicativo considerato che l’amministrazione pubblica apparirebbe disarticolata a causa della variabilità delle competenze, che in alcuni territori diventano regionali, mentre in altri rimangono statali. Il quadro che ne consegue porterebbe le imprese a fare i conti con una frammentazione normativa e amministrativa che complica le loro attività; peggio, si corre il rischio che la solidarietà nazionale vada in frantumi, perché, assieme alle nuove competenze, le tre regioni che per prime otterranno per come richiesto le risorse necessarie ad esercitarle, calcolate a partire dal gettito fiscale generato sul loro territorio, le attueranno senza compensazioni perequative inchiodando quel divario già incolmabile con un Mezzogiorno che parte più svantaggiato. Una differenza elevata a sistema che lede i principi cardine di solidarietà e sussidiarietà a livello sociale e conduce a uno scenario tra le Regioni di debolezze mascherate da improbabili volani tra Nord e Sud. Una condizione contro cui si leva forte e autorevole addirittura la Chiesa italiana con un inedito documento dei vescovi dedicato ai pericoli di un approccio unilaterale e privo di consapevolezza e sensibilità sociale, che – a giudizio dei vescovi italiani – potrebbe ledere i capisaldi stessi di unità su cui si fonda la Repubblica.
Com’è successo che una rivendicazione di parte (i vecchi leghisti duri e puri alla Calderoli), vocata al culto delle piccole patrie, neosovranisti al tempo della globalizzazione, venata da pulsioni razziste, segnata da egoismi territoriali, alimentata da avidità economica, sia divenuta una questione nazionale capace di mettere in scacco – finanche a giudizio della CEI – la tenuta dell’unità del Paese?
È vero, però, che non tutto il centrodestra è d’accordo. Sebbene sorprenda l’atteggiamento del partito della premier – quel Fratelli d’Italia che culturalmente dovrebbe essere portato più verso un centralismo statale piuttosto che alla frammentazione iper-federalista – è Forza Italia che chiama alla riflessione e lo fa con il vicesegretario nazionale Roberto Occhiuto, governatore della Calabria, che frena ed invita al ragionamento: “Non vedo perché bisogna procedere con questa fretta – ha, infatti, chiarato Occhiuto – il testo può essere ulteriormente migliorato”.
“Non bisogna correre, le riforme non sono bandiere – ha aggiunto Occhiuto – Anche Forza Italia ha chiesto la riforma della giustizia, anche Fratelli d’Italia vuole il premierato. Se Forza Italia non dà ultimatum non vedo perché le altre forze della coalizione debbano ricevere ultimatum da qualcuno”.
Quindi, aggiunge presupponendo discussioni interne non ancora concluse: “Il percorso che Calderoli propone per l’autonomia differenziata ‘non è quello che avevamo pattuito”.
Che sotto sotto si nasconda una trappola, lo fa pensare lo stesso ministro leghista che vorrebbe prima approvare la legge sull’Autonomia e poi garantire le risorse per finanziare i Lep: ”ma è un approccio sbagliato. Le due cose devono viaggiare insieme, altrimenti – avverte il governatore della Calabria – per il Sud l’Autonomia rischia di diventare una trappola”.
L’ancoraggio di chi pensa di compensare e mitigare gli effetti negativi, sarebbero i Lep, i Livelli essenziali delle prestazioni da fornire ai cittadini, ma la loro fissazione è rimandata a un Decreto del presidente del Consiglio dei ministri e il loro finanziamento resta materia oscura, da seduta spiritica. Come se non si potesse partire dal disastro della regionalizzazione sanitaria, che ha distrutto il sistema sanitario nazionale, ha trasformato le regioni in enti sanitari che vi destinano l’80% della spesa, generato debiti nascosti sotto i tappetini regionali (Calabria docet) e creato cittadini con sanità funzionante e cittadini senza sanità.
Bisogna stare attenti, bisogna maneggiare con cura, perché una volta negoziata la Autonomia differenziata, diversa regione per regione, rappresenterà una assetto fermo per dieci anni, che può essere disdetto solo un anno prima della scadenza, altrimenti resta tacitamente rinnovato. Come fosse un rapporto fra diverse statualità e non un’articolazione del medesimo Stato, il tutto finanziato con il trattenimento in sede regionale di quote crescenti della fiscalità generale.
Così non va. Ed allora, tutti schierati a sinistra? Tutti contro l’autonomia differenziata e, quindi, contro il governo Meloni?
No. La questione non è così netta. Non è opportuno cadere nella trappola di buttare anche il bambino con l’acqua sporca.
Perché, diversamente articolata e riveduta e corretta, l’Autonomia differenziata può essere una grande opportunità anche per il Sud. Per la Calabria, tanto per fare un esempio, sarebbe un’occasione per avere l’autonomia sulla gestione dell’energia o dei porti.
L’Autonomia differenziata può essere «la scossa» che serve al Sud per crescere, dicendo basta all’assistenzialismo. L’autonomia può offrire anche alle regioni del Sud l’opportunità di riorganizzare le modalità di offerta dei servizi ai cittadini portando vantaggi a quelle comunità che hanno il coraggio, anche in settori circoscritti, di prendere in mano il proprio destino sfruttando le potenzialità di cui dispongono ed esercitando nuove competenze. Magari in quei settori in cui la potenzialità di sviluppo è maggiore (il turismo e l’enogastronomia in Calabria). Tra l’altro, con una maggiore autonomia in certi settori, unita alle nuove politiche di sviluppo per le aree più svantaggiate (si pensi alle ZES, zone economiche speciali) si può creare un volano virtuoso proprio per le regioni meridionali.
Ecco, dunque, che non si tratta di combattere l’autonomia per partito preso o preconcetto ideologico: si tratta piuttosto di pretendere che, attraverso l’Autonomia, lo Stato eserciti in modo equo tutte le competenze che gli rimangono, a cominciare dalle grandi infrastrutture che sono la spina dorsale dello sviluppo, vigilando affinché questo avvenga (in Calabria, vedasi l’alta velocità, quella vera, e i lavori sulla Statale 106).
Certo ci vuole coraggio, intraprendenza. Perché non si può più consentire di muoversi nel vago, abbandonando posizioni banalmente folkloristiche. Perché l’Autonomia non si può ridurre alla facoltà di una regione di stabilire che in quella non si può mettere meno di 4 a scuola. Ed è facile prevedere, come per la spazzatura, che ci sarà qualche posto in cui la differenziata sarà presa seriamente, mentre in altri si butterà tutto nell’indifferenziata. Anche perché siamo in Italia e, da buoni italiani, alla prima crisi, al primo problema per affrontare il quale mancano i soldi il presidente di quella “Regione differenziata” reclamerà l’intervento dello Stato, per metterci una toppa e sganciare altri quattrini.
Proprio da calabrese, da meridionale, sarei, dunque, pronto a dire Sì all’Autonomia differenziata accettando la sfida di sovvertire certe ragioni di ordine culturale, quella narrazione dominante per la quale l’unica chance di sviluppo per il Sud è costituita dalla assistenza e non dalla capacità, e tante esperienze lo dimostrano, di uno sviluppo anche autopropulsivo. I margini di crescita delle Regioni del Meridione sono enormi, soprattutto nella mia Calabria, e l’intero Paese dovrebbe avere interesse a che ciò accada.
In questo senso l’autonomia può essere la scossa che serve al Sud. Non rimane che confidare nell’equilibrio e nella saggezza politica di Giorgia Meloni.