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Nell’Italia del sud che respira veleno: il SIN di Crotone tra reticenze, resistenze, rifiuti pericolosi e una rinascita mai nata

Nell’Italia del sud che respira veleno: il SIN di Crotone tra reticenze, resistenze, rifiuti pericolosi e una rinascita mai nata

da admin_slgnwf75
13 Luglio 2025
in opinioni
Tempo di lettura: 4 minuti
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Crotone non può essere usata come laboratorio tossico della lentezza italiana. Crotone non è un caso tecnico: è una ferita morale, un promemoria del futuro che stiamo negando a noi stessi

di Emilio Errigo*

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Immaginate un luogo dove il profumo della salsedine si mescola da anni con l’odore acre di solventi chimici e metalli pesanti, un luogo dove i bambini imparano prima il significato della parola “bonifica” che quello di “giustizia”. Questo luogo esiste, e non è un caso isolato. Si chiama Crotone, ma potrebbe chiamarsi Taranto, Augusta, Priolo, Caserta o Melilli.

È il Sud Italia, quello che ha accolto per decenni i rifiuti industriali di un Paese che ha fatto dell’inquinamento una merce da redistribuire territorialmente.

In questa narrazione del nostro tempo, la Calabria è stata ridotta a cerniera terminale del sistema nazionale dei rifiuti: un’area di servizio ambientale. Eppure, l’emergenza non è solo calabrese. È europea. È sistemica ed è figlia di una burocrazia che ha smesso da tempo di servire l’interesse generale.

A livello continentale, l’Unione Europea ha tracciato una rotta chiara: economia circolare, riduzione degli impatti ambientali, responsabilità estesa del produttore. Tuttavia, esiste un’altra verità parallela e contestuale. Molti Stati membri, compresa l’Italia – mentre il legislatore unionale accelera per modificare l’impalcatura normativa – faticano ancora a rendere efficiente il ciclo integrato dei rifiuti. L’eccessiva frammentazione del quadro regolatorio, le autorizzazioni complesse e i conflitti tra competenze rendono il sistema fragile.

Il principio europeo di prossimità e autosufficienza nella gestione dei rifiuti resta, nei fatti, il nostro “nord vero” anche se resta evidente una circostanza: dove manca la regia, subentra l’abitudine: inviare ciò che è scomodo verso Sud, verso territori già martoriati e deboli nella capacità amministrativa.

Nel nostro Paese, la gestione dei rifiuti si muove in modo complesso, spesso disordinato. Da un lato, le regioni settentrionali con impianti pubblici avanzati e virtuosi sistemi di raccolta differenziata, dall’altro, un Sud ancora ostaggio di logiche emergenziali, discariche e impianti insufficienti.

Tra queste, Crotone, con il suo Sito di Interesse Nazionale (SIN), è diventata emblema di una distorsione sistemica: nel suo territorio è presente l’unica discarica tecnicamente attiva, destinata a ricevere anche rifiuti pericolosi da fuori regione.

Eppure, ci si chiede, chi, nel tempo, ha stabilito che la Calabria debba essere la valvola di sfogo di un sistema nazionale incapace di programmare e pianificare in modo equo?

La Calabria ha già pagato, non solo con le sue falde contaminate, i suoli avvelenati, l’aria intrisa di polveri sottili, ma anche con le storie di madri, padri e figli spezzati da patologie tumorali e altre malattie invalidanti.

Ed ecco quindi che la bonifica del SIN di Crotone non deve essere un favore: è un diritto negato troppo a lungo.

Il sistema attuale non solo è inefficiente: è insopportabile. La vera emergenza oggi è la mancanza di semplificazione. Ogni fase del ciclo dei rifiuti — dalla classificazione alla tracciabilità, dalle autorizzazioni agli iter di bonifica — è imprigionata in una giungla burocratica che rallenta le soluzioni.

Non è possibile continuare a pensare di dover impiegare anni e anni per bonificare un’area.

Il tempo delle carte deve finire. Adesso è l’epoca dell’azione.

La semplificazione non è un’opzione: è il fondamento della sostenibilità.

Il mio convincimento è che l’Italia debba implementare e/o dotarsi di un sistema di impianti pubblici interregionali tecnologicamente avanzati, distribuiti in modo equo, così che nessuna Regione sia più la discarica dell’altra. E questo si può fare solo rimuovendo i colli di bottiglia amministrativi che rallentano ogni fase del processo.

Mentre Eni Rewind ed Edison si fanno carico come soggetti obbligati della bonifica — con costi e pressioni costanti —, il territorio sembra restare ostaggio della lentezza istituzionale. Non possiamo più accontentarci di soluzioni tampone. Crotone non può essere usata come laboratorio tossico della lentezza italiana.

Il cittadino calabrese non è meno importante né meno esigente di quello lombardo o veneto: chiede impianti efficienti, tutela della salute e, soprattutto, rispetto. Un rispetto che dovrebbe tradursi in una legge regionale chiara: “Stop ai rifiuti extra-regionali in Calabria”, accompagnata da una visione nazionale capace di offrire soluzioni sostenibili e concrete.

Forse dobbiamo cambiare prospettiva. Se la terra calabrese fosse nostra madre, una madre purtroppo già malata, permetteremmo ancora che le scarichino addosso altre tonnellate di veleni? Se le acque contaminate fossero quelle che abbeverano i nostri figli, saremmo così propensi a mandare tutto a “carte bollate”?

Crotone non è un caso tecnico: è una ferita morale. È un promemoria del futuro che stiamo negando a noi stessi.

Ora è il tempo del fare, del fare insieme e non del demandare e rimandare. Perché se c’è un prezzo che la Calabria ha già pagato, è quello dell’indifferenza.

E su questo, la storia – fatta dagli uomini – non può più essere complice.

001 1

* Il Generale Emilio Errigo è nato a Reggio Calabria, è studioso di diritto internazionale dell’ambiente e docente universitario di “Diritto Internazionale e del Mare” e di “Management delle Attività Portuali” presso l’Università della Tuscia (VT). Attualmente ricopre il ruolo di Commissario Straordinario di Governo per la bonifica del SIN Crotone-Cassano e Cerchiara di Calabria.

Tags: bonificacrotonegiustiziaitaliaresistenzereticenzerifiuti pericolosirinascitasin di crotonesudveleni

admin_slgnwf75

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