Riflessioni sulle pagine del Vangelo di domenica 20 marzo
di Mons. Giuseppe Fiorillo
Carissime/i,
Luca, con la narrazione di questa pagina, (Lc 13,1-9) ci presenta Gesù in viaggio con destinazione Gerusalemme per celebrare quella che sarà la sua ultima Pasqua.
Questa pagina contiene due forti messaggi: il primo sulla conversione, il secondo sulla misericordia di Dio.
Alle porte di Gerusalemme si presentano delle persone che riferiscono a Gesù il fatto che Pilato, qualche giorno prima, aveva fatto sgozzare nel Tempio alcuni Galilei, il cui sangue si era mescolato con quello degli animali, destinati al sacrificio sacro.
Pilato, secondo la testimonianza di Filemone, (20 a. C – 45 d. C.) filosofo ebreo alessandrino, era sanguinario, violento, crudele, corrotto, facile alle esecuzioni mortali senza processo.
Ma quale è il motivo che spinge “quei tali” ad accogliere Gesù con questa triste notizia? Vogliono un giudizio da parte di Gesù su quei tragici avvenimenti. Per loro e la pubblica opinione quei malcapitati sono certamente dei peccatori se Dio, proprio nel Tempio, ha permesso tale orrendo delitto.
Non così per Gesù: la sua risposta è chiara ed inequivocabile.
“Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”(Lc 13,2-3).
Gesù va al cuore dell’uomo e chiede una conversione. Non una conversione puramente religiosa, ma una conversione che è un ritornare sulla retta via, con l’accoglienza di una nuova visione. Nell’economia di questo nuovo Vangelo la politica è intesa a favore dell’uomo, l’economia è per la persona, non tanto per il freddo capitale. “Il sabato è per l’uomo, non l’uomo per il sabato”. In questa visione, annunziata da Cristo, i ponti si costruiscono ed i muri si abbattono. Ognuno ha diritto al suo pane, perché il pane c’è, manca però la volontà di spezzarlo e comparteciparlo …e se, poi, manca l’impegno ed il desiderio di creare ” cieli nuovi e terre nuove”(Apocalisse) allora c’è il pericolo di sparire, ingoiati dell’egoismo, drogati dal desiderio di avere sempre di più e sordi e ciechi ai lamenti dei poveri lazzari della terra.
Ma Dio (ecco la parabola del fico sterile) è il Dio dei vivi e non dei morti e vuole tutti salvi, concedendoci più tempo per non non perire.
“Padrone, lascialo (l’albero sterile) ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vediamo se porterà frutto per l’avvenire; se no, lo taglierai “(Lc 13 8-9).
I tre anni, previsti dal mondo contadino per dare frutto, si dilatano a quattro, cinque, sei, il tempo per zappare attorno, dare aria, concimare l’albero…e l’albero siamo noi che, per tre anni non abbiamo dato frutti, ma la misericordia di Dio, col prolungarci la scadenza, ci dà infinite opportunità di salvezza.
Buona domenica.
Don Giuseppe Fiorillo