La parabola del figlio prodigo. Riflessioni sulle pagine del Vangelo di domenica 27 marzo
Carissime/i,
nella pagina odierna (Luca 15,1-32), Gesù annunzia la misericordia gratuita di Dio, forza capace di cambiare le nostre vite. E lo fa con la parabola più famosa, più bella, definita il Vangelo della misericordia dentro il Vangelo, la parabola del Figliol prodigo o del Padre misericordioso.
“Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto”.
È la storia di una famiglia, di un padre con due figli, manca la madre. Nonostante la vigile presenza del padre, i due figli vivono lontani l’uno dall’altro. Il maggiore è tutto casa e campi. Il minore è inquieto, insoddisfatto, il suo cuore è pesante …e allora apre la porta e va via con tanti soldi e poco amore. Si perde nei bassifondi dell’esistenza umana, come si perdono, oggi, tanti giovani sprofondati nell’inferno della droga, affogati nella violenza, ingoiati da una inquietudine che non si placa mai.
E si perde anche il figlio maggiore dietro la monotonia delle stagioni che vanno e vengono, dietro l’incertezza dei raccolti, dietro un tempo che non ti dà l’opportunità di mangiare con gli amici neanche un capretto.
E ci perdiamo tutti noi, quando inficiamo una relazione di amicizia, quando non ci sentiamo motivati sul campo del lavoro, quando il peso delle negatività, sulla bilancia della vita, pende a discapito delle positività.
E allora, quando la festa è finita e gli amici se ne vanno, è tempo per il figlio minore di tornare in sé: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò ed andrò da mio padre…”.
Il figlio minore lascia la guardiania (occupazione ritenuta immonda dagli Orientali!) dei porci con i quali condivide, per fame, le carrube e lacero e mendico si incammina verso casa.
Nella vita c’è sempre qualcuno che ci attende… e lui era atteso da anni dal padre. Fortuna che sull’uscio di casa non c’è il fratello maggiore, il quale l’avrebbe certamente affrontato con disprezzo; c’è, invece, il padre che corre e si butta al collo e l’abbraccia e lo bacia, interrompendo, così, il discorso di pentimento che si era preparato lungo il viaggio di ritorno. Con questi affettuosi gesti il padre restituisce al figlio la dignità perduta, sigillata ora col vestito più bello, con l’anello, segno del reintegro nella famiglia, con i calzari, distintivo degli uomini liberi (i servi erano scalzi!)
Rembrandt, dipingendo questo episodio, mette in evidenza le mani del padre che abbracciano il figlio: una mano è femminile ed una mano è maschile: il figlio finalmente ha un amore completo, l’amore del padre e quello della madre, in mancanza del quale, si era perduto.
Il padre per il figlio perduto e ritrovato fa ancora di più. Affinché la gioia sia piena, organizza una festa con suoni e canti e fa uccidere il vitello grasso.
Il padre misericordioso recupera anche il figlio maggiore, il quale, ritornando dai campi, si ferma sull’uscio di casa e non vuole partecipare alla festa del ritorno del fratello dissoluto… lo recupera con queste parole: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è ritornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”.
Questo è il Dio che ci presenta Gesù Cristo, questo è il nostro Dio, con la porta sempre aperta, col cuore sempre più grande, con un amore che sa di Padre e di Madre.
“Dio è anche Madre” (Papa Luciani).
Buona domenica.
Don Giuseppe Fiorillo