Riflessioni amaramente realistiche alla viglia di un voto tutto da decifrare
di Maurizio Bonanno
L’imminente (forse, sarebbe il caso di dire: incombente) appuntamento con le urne è ormai certo che sarà condizionato da una probabile forte astensione dei votanti. E non potrebbe essere altrimenti.
D’altronde, dinanzi a questo fiume di chiacchiere vuote e di scarso valore pratico, è facilmente intuibile con quale animo gli italiani si stiano preparando a recarsi a votare. Viene da pensare che, ogni giorno di campagna elettorale che passa, la percentuale di coloro che non si recheranno alle urne sia destinata ad aumentare.
I motivi sono dinanzi a noi confermandone i punti caratterizzanti. Questa campagna elettorale, già arraffazzonata per il tempo breve in cui si svolge, quando mancano pochi giorni all’apertura dei seggi appare piena di contraddizioni profonde all’interno di ciascuna coalizione, con un carico di promesse di realizzazioni di “riforme” ai limiti del dettato costituzionale. Insomma, un quotidiano happening, sempre più simile a uno spettacolo circense di funamboli senza rete (a ben pensarci, la rete invece ce l’hanno, grazie a questa legge elettorale che di fatto ha già stabilito gli eletti).
E così, ancora una volta siamo costretti ad assistere a spettacoli penosi e indecorosi, che sembrano indulgere solo al pettegolezzo perché in assenza di grandi idee e programmi concreti per i quali confrontarsi. Ciascuno ritiene di avere ragione senza necessità di contraddittorio e intanto i problemi continuano a incancrenirsi sempre più pericolosamente. Questo perché la politica, come attualmente è concepita, è il risultato del nuovo modo di pensare il rapporto con l’opinione pubblica, che, nel ribaltamento dei ruoli, ha acquisito la capacità di condizionare, anzi indirizzare, la politica. Perché adesso è così che si comportano gli attuali leader politici: si fanno recapitare gli ultimi sondaggi, apprendono così come la pensano i cittadini e ne applicano il pensiero, lo assecondano, lo realizzano e verificano, poi, con il numero di like ricevuti sui social il consenso al quale aspirano.
È questa la politica oggi. Ma… è questo il compito di un leader politico? Oggi come ieri?
È che la politica al momento si fonda sull’opinione espressa preferibilmente via social e/o attraverso sondaggi commissionati all’uopo, con il risultato che si è rinunciato al ruolo originario di intermediazione. E la democrazia, di conseguenza, scricchiola. È ovvio.
Perché la democrazia è ontologicamente mediazione. Il leader politico è colui che ha una visione oltre, che porta l’opinione pubblica verso il suo progetto ideale, la guida, la conduce là dove la massa non ha ancora pensato, piuttosto che assecondarne i pensieri. Se il popolo ragiona di pancia, al politico questo non è concesso, se non vuole essere l’interprete di un becero populismo. Al politico spetta il compito di mediare. E di assolvere al compito di proiettare la società verso il futuro: il presente come trampolino verso il domani, quel domani che il popolo, l’opinione pubblica non vede, perché non spetta al popolo vederlo, spetta al leader. Mosè non guidò il suo popolo dopo aver effettuato un sondaggio!
Ed invece quello che siamo costretti a vedere oggi, mostra prospettive preoccupanti.
La democrazia che asseconda le tendenze social porta inesorabilmente in sé il rischio di autodistruzione. Un’autodistruzione a colpi di like.
La nostra è una civiltà destinata ad imboccare la via del declino, se lasciata in mano a leader senza alcuna leadership.