Riflessioni a penna libera pensando alle prossime elezioni comunali dell’8 e 9 giugno
di Maurizio Bonanno
È una serata d’inverno apparentemente tipica: c’è ancora odore di pioggia caduta in mattinata, mentre si è alzato un vento insistente che prova a raffreddare l’aria che invece mantiene una temperatura mite, poco invernale: è come un invito a passeggiare.
E ripercorro le strade del centro storico, quando irrompe nella mente un passo di Calvino, una frase del suo “Le città invisibili”. Torno a casa e la cerco tra i miei libri ed ho conferma di quella sensazione provata: pare scritta pensando alla realtà vibonese: “La città non dice il suo passato, lo contiene come le linee d’una mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre, negli scorrimano delle scale, nelle antenne dei parafulmini, nelle aste delle bandiere, ogni segmento rigato a sua volta di graffi, seghettature, intagli, svirgole.”
Eh già: i palazzi nobiliari che degradano ai piedi del Castello, i resti maltrattati di epoca magno greca e quelli ancora nascosti del periodo romano; il fascino della Porta di Conte d’Apice e le suggestioni di via Fiorentino con in cima il Campanile di S. Michele o di via Murat con il Palazzo Di Francia, i due Palazzi Gagliardi che si guardano ostentando quell’antica eleganza che va sciogliendosi e poco più in là il viale dedicato alla Regina Margherita, un tempo luogo prediletto delle passeggiate e del chiacchiericcio, poi abbandonato anche per la scelta scellerata di sostituire i vecchi ed accoglienti alberi di acacia con altri che allargandosi fanno ancora oggi da tetto impendendo al sole di penetrare e mantenendo una costante e fastidiosa umidità, quel viale che potrebbe raccontare di quando i vibonesi qui venivano per andare a teatro, quel teatro che maledettamente fu abbattuto e adesso prova a rivivere nella nuova costruzione realizzata a Moderata Durant, la cui “falsa partenza” sembra necessaria per dover scontare la maledizione di quello sciagurato evento passato.
“Oh, Vecchia Vibo mia che mi ricordi tu, gli anni più belli e ogn’or della mia gioventù…”, cantava la vecchia canzone scritta da Gaspare Serrao, divenuta come un nostro inno!
Ma serve a qualcosa questo continuo ricordare, sebbene con tenera nostalgia?
“Troverai degli uomini che si lamentano dei loro tempi, convinti che solo i tempi passati siano stati belli, ma si può essere sicuri che se costoro potessero riportarsi all’epoca degli antenati, non mancherebbero di lamentarsi ugualmente. Se, infatti, tu trovi buoni quei tempi che furono, è appunto perché quei tempi non sono più i tuoi”.
S. Agostino d’Ippona non è uno dei tanti nostri concittadini che si dilettano a rimpiangere la “…splendida città che Vibo fu!” inondando così social e giornali, salotti e kermesse coccolandosi in un rimpianto che suona quasi come alibi, buono per le lamentale e per l’inazione. Se non piace l’attuale, l’unica reazione, se tale può definirsi, non può essere quella di rimanere abbarbicati ai rimpianti di un passato lontano, senza nemmeno porsi il problema di come rialzarsi pensando al presente, ma soprattutto proiettandosi nell’immediato futuro per impedire che tutto intorno degradi. Ma è un errore vivere di rimpianti, memorie malinconiche, nostalgie inutili se rimangono tali senza un progetto, un’idea proiettata nel futuro
Io non ci sto: basta con il refrain del “come eravamo”, basta con il “giardino sul mare” e i rimpianti di un passato improponibile, basta commenti con lo sguardo rivolto all’indietro: guardiamo avanti… oltre la siepe!
Piuttosto, se proprio vogliamo guardare al passato, affrontiamolo, con la consapevolezza che dobbiamo fare i conti fino in fondo con questo passato sempre evocato, celebrato, esaltato. Partendo dalla consapevolezza che il passato è materiale altamente esplosivo. Va quindi disinnescato, sottraendogli la carica di attualità che qualcuno di continuo prova ad attribuirgli scrollandosi dalla responsabilità di affrontare veramente il presente. E, per farlo, è necessario storicizzare, cioè allontanare da noi e dai problemi del presente gli eventi e i personaggi di altre epoche, per restituirli alla dimensione in cui possano fare meno danni possibile (e magari arrecare qualche beneficio): quella della memoria consapevole. Solo in questo modo, frapponendo fra noi e il passato una coscienza della distanza storica, saremo liberi di muoverci nel presente pensando finalmente, se ne saremo capaci – ovvero, ne avremo il coraggio – a costruire un futuro.
Ma…come? In che modo?
Da una sommaria verifica, si è scoperto che la città pullula di quasi 400 (quattrocento!) associazioni culturali, la gran parte delle quali – inevitabilmente! – sono autoreferenziali, dunque inadatte a svolgere la precipua funzione di creare una certa sentita, coinvolgente Identità (la scrivo con la maiuscola per enfatizzarne il significato).
Ecco, se c’è un obbiettivo, diretto e concreto – vorrei dire, realistico – che ci si deve porre per dare vita ad un vero periodo della “rinascita”, del risveglio di Vibo Valentia, credo che il primo, inteso come precondizione, sia quello di ricostruire una “identità vibonese”, in modo che ogni cittadino si riappropri della città in cui vive e la senta sua: con partecipazione, coinvolgimento, condivisione ribellandosi concretamente all’idea che la desertificazione sociale, commerciale e demografica sia un destino già scritto per Vibo Valentia e la sua provincia.
Vibo Valentia vive questa condizione perché la gran parte che oggi vi abita non la conosce, non conosce la sua storia millenaria ed i tesori che possiede. E non conoscendola non la ama, come invece questa città merita, ancora bella malgrado, anzi quasi a dispetto, dell’indifferente distacco di chi qui ci vive e non l’apprezza.
Eppure, la ricchezza del suo patrimonio storico-culturale, ambientale-paesaggistico, architettonico-monumentale, fa di Vibo Valentia una città dalle straordinarie potenzialità ancora inespresse potendo essere, da un lato una sorta di “Museo Diffuso all’Aperto” attraverso il quale ripercorrere per intero la storia della cultura occidentale e mediterranea, dall’altro un avamposto per quella rinnovata cultura dell’inclusione sociale e della integrazione socio-culturale che, attingendo ai modi di concepire la gestione della polis dei suoi padri fondatori, possa recuperare a modello il concetto dell’integrazione e dell’armonizzazione delle diverse culture, così come fecero i greci prima ed i romani dopo, così come qui avvenne nel passaggio dall’ortodossia greco-bizantina a quella latina: territorio che nel tempo seppe accogliere ed integrare normanni e angioini, ebrei, spagnoli e francesi.
Ricordo che potrebbe rappresentare un’idea-progetto che non vuol dire, però, continuare lungo la strada tortuosa ed ormai impercorribile fatta di schieramenti di parte che utilizzano il passato – splendido forse, certamente ingombrante – quale occasione di speculazioni a fini personali.
A cosa serve ricordare, se non ad immaginare per Vibo Valentia il disegno di una città che sappia essere capoluogo di quei centri che naturalmente vi gravitano?
Ed allora: città di servizi, città del commercio e degli scambi, città di artigianato e piccole produzioni, città di cultura e di proposte, di iniziative che siano in grado di proiettare il territorio a livello nazionale in senso positivo (penso, giusto per fare un esempio concreto, al caso, forse unico in Calabria del CEV, il Comitato degli Editori unica traccia rimasta a ricordo di quella Vibo Valentia Capitale del Libro 2021), città dell’arte nel senso più ampio (musica, teatro, pittura, poesia…), città della piccola impresa che sa far emergere le realtà industriali, città del turismo e dell’accoglienza, dell’enogastronomia e del biologico; ed ancora…
Una città in grado di scrollarsi di dosso stereotipi consolidati, Lasciandosi travolgere dall’idea che il problema sia solo ed esclusivamente la presenza della ‘ ndrangheta – che è pure incombente, ammorba l’aria e rende invivibile anche il quotidiano – ignorando che la mafia è l’effetto di altri problemi, molto più profondi, che purtroppo non si risolvono con la pur necessaria ed inderogabile azione repressiva, l’impegno costante ed ammirevole delle forze dell’ordine. Dobbiamo ragionare su come si può ricostruire un patto civile tra la stragrande maggioranza di una popolazione che è fatta di persone perbene che aggiri la mafia, gli tolga spazio ed ossigeno, la renda inutile.
E sappia affrontare i problemi reali che attanagliano questo territorio.
Quali problemi?
Il sottosviluppo economico, la mancanza di strutture e di infrastrutture, l’assenza di investimenti, l’illegalità diffusa anche nei piccoli gesti quotidiani, l’inesistenza di controlli in senso civico che così lasciano spazio libero alle scorribande di vandali ed incivili, l’enorme sottomissione di un ceto borghese non più reattivo, la mancanza di un progetto di sviluppo che non sia solo un banale invito al turismo, la presenza di una politica sottomessa.
È possibile?
Sì. Ho la presunzione di dire di sì. Tra una folla di figure apatiche nelle coscienze, mira e bersaglio della vigliaccheria, dove cercare di essere migliori appare un demerito e si è scansati come pericolosi, un gruppo di impavidi deve assumersi l’onere di lanciare la sfida offrendo scenari nuovi, visionari, coraggiosi, al grido di quello che deve diventare la nostra idea-progetto: “Cerchiamo sognatori. Cerchiamo coloro che non si arrendono”.
Cerchiamo sognatori per risvegliare questa nostra amata Vibo Valentia: sono loro il nostro futuro!
Vostro, Maurizio Bonanno