Riflessioni sulle pagine del Vangelo di domenica 7 luglio
di Mons. Giuseppe Fiorillo
Carissime/ carissimi,
il vangelo di questa 14ª domenica del Tempo Ordinario ci presenta Gesù che, dopo aver percorso strade e villaggi della Palestina, sente la nostalgia del suo paese: Nazareth.
Desidera rivedere le piccole piazze, dove da bambino giocava con altri bambini; bere alla fontana, dove con la brocca attingeva l’acqua da portare a casa; sentire l’odore del legno della bottega, dove con Giuseppe esercitava il mestiere di carpentiere…
Testo del Vangelo della liturgia odierna:
“GESÙ venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise ad insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: “Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?”. Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: “Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”. E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità. Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando”(Marco 6,1-6).
Gli esegeti sostengono, col Vangelo in mano, che Gesù, nei tre anni di vita pubblica, è venuto a Nazareth per ben tre volte. La prima volta incontra stupore ed ammirazione da parte dei suoi paesani. La seconda volta trova tanta diffidenza: “non è forse costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Giuseppe, di Giuda e Simone? E le sue sorelle non sono qui tra noi? Ed erano scandalizzati a causa di lui”.
La terza volta c’è un’esplosione di furore: lo cacciano dalla sinagoga, lo conducono fuori sul ciglio della collina per buttarlo giù… ma Lui, passando in mezzo a loro, se ne va… e non tornerà più al suo paese. I Nazaretani non accettano Gesù, un rabbì senza titoli, con quelle mani con i calli del mestiere, mani che devono-secondo loro produrre panche, sedie, porte, finestre per la comunità e non per creare miracoli con l’imposizione di quelle stesse mani. Non accettano questo rabbì che presenta un Dio vicino che entra nella vita ordinaria, un Dio di casa che racconta l’amore con parabole che sanno di terra, di chicchi di grano, di un fico in fiore, di un figlio che parte, dilapida tutto, ritorna povero e lacero ed è abbracciato dal vecchio padre, di una pecora che si perde, viene cercata per valli e monti e, trovatala si fa festa, di un samaritano che scende dalla sua cavalcatura per soccorrere un uomo incappato nei briganti che, dopo averlo derubato, lo massacrano, lasciandolo insanguinato sulla strada che da Gerusalemme scende a Gerico.
Noi cristiani del XXI secolo censuriamo la condotta dei paesani di Gesù e facciamo bene! ma la festa, a pensarci, dura poco, perché anche noi, se prendiamo coscienza, siamo colpevoli quanto loro o più di loro! Anche noi, difatti, cacciamo il Cristo dalle nostre istituzioni, dai nostri linguaggi, dalle nostre storie esistenziali.
Lo cacciamo ogni qual volta non lo riconosciamo nel volto:
*del povero che tende la mano all’uscita della nostra chiesa o del supermercato;
*del barbone che alloggia sotto i ponti delle nostre città, perché non c’è posto per lui nelle nostre case sfitte o vuote;
*del disoccupato in cerca di un lavoro per avere una dignità per sé e la sua famiglia;
*del giovane che, pur bussando a cento porte, resta fuori, perché nessuno gli apre per dare un filo di speranza;
*dello straniero che, per un piatto di lenticchie, consuma la sua giovinezza nei nostri campi, coltivati a pomodori, a patate o altro e, spesso, viene considerato da “caporali” e “padroncini” al di sotto di quella merce che produce e che noi ci troviamo bella e ben confezionata sulle nostre mense, senza immaginare da quale sofferenza viene.
E così continuiamo a non riconoscere Gesù e, Lui resta, così, in esilio, fuori casa.
Buona domenica con la gioia di aprire o meglio spalancare le porte a Cristo.
Don Giuseppe Fiorillo