Il circo mediatico che sta seguendo a questa vicenda sportiva è un inutile caos si parole, ognuno a dire la sua fino a trasformarsi in questione politica
di Maurizio Bonanno
Capisco perché le Olimpiadi si svolgono ogni quattro anni.
Almeno due motivi oggi mi sono evidenti: perché si arriva dopo una lunga preparazione fatta di impegno e sacrifici per vivere pochi minuti in cerca di gloria; perché la forza mediatica che si sprigiona è di livello tale che ogni cosa che qui accade viene amplificato all’inverosimile e globalmente.
L’esempio più emblematico è quanto accaduto oggi e le polemiche vorticose che stanno seguendo a proposito dell’incontro di pugilato che ha visto una nostra atleta nelle condizioni di scendere sul ring contro un atleta intersessuale.
Angela Carini ha scelto di non affrontare il match contro la pugile intersessuale algerina Imane Khelif: pochi secondi di match, appena 46, e poi la decisione di abbandonare. Quindi, dopo che i giudici hanno validato la sua scelta con il verdetto ufficiale, l’azzurra si è inginocchiata sul ring e ha pianto.
Angela Carini ha subito dopo spiegato la decisione: “Ero salita sul ring per combattere. Non mi sono arresa, ma un pugno mi ha fatto troppo male e dunque ho detto basta. Esco a testa alta”, ha concluso la sua spiegazione l’azzurra.
Il circo mediatico che sta seguendo a questa vicenda sportiva è caos totale, ognuno a dire la sua fino a trasformarsi in questione politica infilandosi nella stucchevole diatriba a proposito di trans, omo, bi, lgbt e via sproloquiando.
Tutto questo è utile al circo mediatico, ma distorce la realtà, la trasforma nel solito derby ideologico, allontana dal caso vero e proprio che, tutto sommato, sia Khelif che Carini con i loro atteggiamenti hanno avviato.
Qui non si tratta di eguaglianza tra i generi, argomento verso il quale siamo d’accordo riguardo alle battaglie per cancellare ogni disparità.
Il discorso, è relativo al caso dell’atleta algerina lo scorso anno non ammessa ai mondiali di boxe, ma che a Parigi 2024 è stata ammessa. È dell’evitare di cadere nella solita trappola del conformismo, del politicamente corretto, anche quando corretto non è.
Perché questa volta corretto non è. Perché in uno sport, come quello del pugilato, dove l’impatto fisico è basilare, c’è rischio di traumi a causa dei colpi che si ricevono e non si può soprassedere sul particolare che sia estremamente pericoloso che un fisico da uomo combatta contro un fisico da donna. Khelif, 25 anni, non è transessuale come qualcuno vorrebbe far credere, è sessualmente altro e per questo lo scorso anno era stato escluso dai mondiali di pugilato per non aver superato il test del testosterone (e sulla validità di questo criterio, torneremo dopo).
Imane Khelif sarebbe nato con alcune caratteristiche sessuali femminili ma con i cromosomi maschili XY, come dichiarato dal presidente dell’International Boxing Association (IBA) Umar Kremlev. A questo punto, è sufficiente consultare un qualunque manuale di biologia per sapere che i maschi dopo la pubertà hanno in proporzione un rapporto massa magra\grassa superiore a quello delle femmine, una fitness del sangue migliore, con maggiore assorbimento di ossigeno per kg di peso corporeo, una densità ossea maggiore; tutti parametri che rendono il corpo maschile più robusto, resistente ed esplosivo rispetto a un corpo femminile di pari peso e a parità d’allenamento. E nonostante qualunque cosmesi chirurgica.
Insomma, non basta definirsi “donna” per diventarlo. Né basta la chirurgia (oppure un’operazione “di riassegnazione del sesso”) né prolungate assunzioni di farmaci ormonali per cambiare il fatto che il fisico di un individuo nato con cromosomi maschili XY sia biologicamente più performante di una persona nata con cromosomi femminili, XX.
Come dire: “Se a un leone tagli la criniera, non diventa una leonessa”!
Il dimorfismo sessuale che caratterizza gli esseri umani (come i leoni…) è inaggirabile: “la massa muscolare di un maschio e la forza esplosiva di quella muscolatura sono superiori a parità di peso e allenamento” spiegano gli esperti del settore.
Ecco perché il criterio adottato dal CIO per ammettere individui di sesso maschile a gareggiare contro donne (sono rarissimi i casi opposti, ovvero di donne che si sentano maschi e che chiedano di gareggiare contro altri uomini) pone più di una perplessità, poiché il testosterone – che può variare con l’ausilio di terapie ormonali o per i trans che si siano fatti asportare i testicoli o ancora per i rarissimi casi di intersessualità, quale sarebbe il caso di Khelif.
Insomma, il mondo si sarà pure evoluto sul piano scientifico, sarà pure cambiata la mentalità più aperta e tollerante, ma non si può andare contro la fisiologia e la natura. Nulla in contrario a far gareggiare maschi e femmine insieme in discipline mentali o di performance individuale, come può essere il tiro al piattello o il tiro con l’arco o gli scacchi. Diverso è quando ci si trova dinanzi ad una performance fisica e peggio ancora se si tratta di uno sport di contatto… forte, violento.
I rischi in questo caso sono gravi. E saggia è stata la decisione di Angela Carini di fermarsi quando ha ricevuto un pugno che le ha fatto “troppo” male.
Sarà stato pure possibile che, per motivi regolamentari relativi alla quantità di testosterone (secreto, negli uomini, dai testicoli e nelle donne dalle ovaie e dalla corteccia surrenale, ma in quantità molto inferiore), Imane Khelif, come peraltro anche la taiwanese Lin Yu-tin, siano state ritenute idonee a combattere con avversarie donne e si può pure accettare l’idea che il giudizio non debba essere condizionato dal fatto che a guardarle di femminile hanno poco, a cominciare dalla complessità fisica. Ma questo non toglie nulla al fatto che il loro fisico tendenzialmente le metterebbe in condizioni avvantaggiate, utili e prevalere su avversarie ”semplicemente donne”.
Un’ultima considerazione: questa faccenda non è una vicenda nuova nello sport. Nell’atletica leggera, ad esempio, è successo che – come la sudafricana Carsten Semenya, due volte campionessa olimpica e tre volte campionessa mondiale negli 800 – atleti/e siano state prima fermate e poi riammesse, ma solo per distanze in cui il testosterone non ha effetti sulle prestazioni.
Ecco, appunto, il pugilato ha una sua intrinseca pericolosità, in questo sport si menano cazzotti e pure pesanti e una disparità di partenza non è solo sportivamente “ingiusta”, è umanamente pericolosa.
La scelta di Angela Carini è un atto di coraggio, la denuncia di una situazione che deve essere affrontata con la serietà di un criterio scientifico. Il ritiro di Angela Carini è una vittoria.
Anzi, sarebbe una vittoria. se davvero vogliamo coglierne il messaggio.