Il tutto parte dal ricovero di un 35enne ferito gravemenre al collo da un colpo di arma da fuoco nell’ottobre del 2024
Cinque persone sono state arrestate a Montebello Jonico dai Carabinieri della Compagnia di Melito Porto Salvo, con lo Squadrone Eliportato Cacciatori “Calabria”, il Nucleo Cinofili di Vibo Valentia e la Compagnia Carabinieri di Desio, perché accusate di tentato omicidio, detenzione e porto di armi da guerra, detenzione e traffico di stupefacenti e ricettazione.
Tutto parte il 9 ottobre 2024, quando un uomo di 35 anni, residente a Montebello Jonico, arriva all’ospedale di Melito Porto Salvo con una ferita d’arma da fuoco al collo; vista la gravità della ferita viene trasferito al reparto di Rianimazione del G.O.M. di Reggio Calabria per essere ricoverato.
Avvisati i Carabinieri partono le indagini, fatte soprattutto intercettazioni telefoniche e ambientali, che hanno permesso di scoprire quanto vi era dietro al tentato omicidio.
Scattano quindi le perquisizioni mirate nelle abitazioni e nei terreni delle persone che si supponeva fossero coinvolte, con particolare attenzione a un “giardino” di proprietà della madre del presunto autore del tentato omicidio, qui sono stati trovati indizi che hanno permesso di scoprire un vero e proprio arsenale da guerra, nascosto con meticolosa attenzione. Tra le armi sequestrate figurano pistole e fucili, tra cui una pistola tipo Rivoltella di colore nero contenente, nel tamburo a 6 colpi, 5 colpi cal. 7.65, verosimilmente utilizzata per commettere il delitto, ma anche un fucile automatico AK-47 Kalashnikov con matricola abrasa. Oltre a ciò, ingenti quantità di munizioni, esplosivi e droga: circa mezzo chilo di cocaina, dal valore di mercato di 150.000 euro, 200 grammi di tritolo occultati in un barattolo di vetro e una micidiale bomba carta del peso di circa 1,2 kg, dotata di miccia. Il tutto era disseminato tra le pertinenze delle abitazioni e i terreni limitrofi, pronto per essere utilizzato.
In base a quanto ricostruito, il presunto movente del tentato omicidio sarebbe però da ricondurre a un debito contratto dalla vittima per l’acquisto di droga. I rapporti tra la vittima e gli indagati erano frequenti e avvenivano spesso tramite messaggi in codice, con espressioni come “un bacino” o “due bacini” per riferirsi alle dosi di stupefacente richieste, in più la vittima si recava spesso presso l’abitazione del presunto autore del tentato omicidio per acquistare droga e, in almeno un’occasione ,avrebbe consegnato denaro contante direttamente a uno degli arrestati.
Le indagini, malgrado abbiano portato in beve tempo all’individuazione dei responsabili, hanno riscontrato oggettive difficoltà dovute alla fortissima solidarietà reciproca degli indagati che agivano come un vero e proprio corpo unico, fatto di omertà e complicità a volte anche imposte, come nel caso di ordini espliciti impartiti da uno degli arrestati alla figlia e al cognato affinché non rivelassero nulla agli inquirenti.