Riflessioni sulle pagine del Vangelo di domenica 11 dicembre
di Mons. Giuseppe Fiorillo
Carissime/i,
domenica scorsa (Matteo 3,1-12) abbiamo lasciato Giovanni sulle rive del fiume Giordano nel proclamare che il Cristo, il Messia, atteso era vicino.
Oggi, terza domenica di Avvento (Matteo 11,2-11) troviamo Giovanni in prigione, nella fortezza di Macheronte, una delle otto fortezze, costruite da Erode il Grande (anche per nefandezze!) ad est del Mar Morto. Erode Antipa, figlio di Erode il grande, in questa fortezza, secondo Giuseppe Flavio, organizzava feste e ricevimenti e vi passava i mesi invernali con la sua corte.
“In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?” (Matteo 11,2-3).
Giovanni, dopo circa otto mesi di predicazione, nei pressi del deserto di Giuda, da Erode Antipa, viene messo in carcere.
Secondo Giuseppe Flavio a motivo della sua crescente popolarità, assai temuta da Erode.
Secondo Matteo, a causa della dura condanna, fatta da Giovanni alla condotta sregolata di Erode: “dite a quella volpe di Erode: non ti è lecito ripudiare la moglie per prendere la moglie di tuo fratello” (Matteo 14,4).
Giovanni è in carcere ma, siccome il re Erode “lo teneva in grande considerazione”, secondo quanto ci riferisce il vangelo di Marco, può ricevere i suoi discepoli; e da loro apprende l’operato di Gesù che è tutto il contrario del suo messaggio.
E allora i dubbi lo assalgono!
Entra in crisi, perché lui che aveva annunziato un Messia giustiziere, si trova, ora, con un messia misericordioso verso i peccatori.
È la sua notte dell’anima di cui parlano i santi da Francesco d’Assisi a Giovanni della Croce, da Teresa d’Avila a Teresa di Calcutta e… solo per fare qualche nome.
Giovanni si libera dalla notte dell’anima perché ha l’umiltà di aprirsi con i suoi discepoli, chiedendo loro di andare da Gesù e dirgli: sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”
Gesù, che inizia la religione dell’amore e, così, finisce la religione dei riti, risponde:
“Andate a riferire a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunziato il vangelo. E beato colui che non trova in me motivo di scandalo!” (Matteo 11,4-6).
Gesù risponde a Giovanni con un elenco di fatti; risponde con la profezia di Isaia (capitolo 61) di quell’Isaia che Giovanni conosce bene, avendo da lui preso l’incipit per la sua predicazione: “voce di uno che grida nel deserto; preparate le vie del Signore, raddrizzate i suoi sentieri”.
Gesù non dimostra, ma mostra un orizzonte di speranza con la presenza dei suoi compagni di viaggio, i quali sono sei rappresentanti dell’umanità dolente in senso fisico ma, ancor più, in senso morale: ciechi, zoppi, lebbrosi, sordi, morti, poveri.
Gesù con questa scelta portava scandalo ieri, e, porta scandalo, anche oggi, perché capovolge le regole della religione, della morale, del potere, mettendo al centro la persona.
“Mentre i discepoli di Giovanni se ne andavano Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso?…Ebbene che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta… In verità io vi dico: fra i nati di donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui” (Matteo 11,7-11).
I dubbi di Giovanni non hanno diminuito la stima di Gesù, ma l’hanno ingigantita, perché Giovanni, con la mediazione dei suoi discepoli, ha saputo uscire dalle sue rigide idee.
Titti rischiamo di restare prigionieri delle nostre idee. “È più facile spezzare un atomo che liberarsi da un pregiudizio” (Albert Einstein).
La buona notizia che cogliamo in questo vangelo:
- essere capaci di rompere le catene delle nostre sicurezze;
- essere capaci di uscire ed accettare l’altro,le culture dell’altro, i colori della pelle dell’altro;
- essere capaci di rendere la vita più umana,eliminando le strutture di morte,a qualcuno che che non riesce da solo.
Buona domenica nella gioia del Signore che sempre viene nella nostra vita.
Don Giuseppe Fiorillo